Ci sono, come ognun sa, paradossi e
paradossi. Nella vita di tutti i giorni perché un’affermazione sia
paradossale basta che si ponga, in accordo al significato etimologico del
termine, contro le aspettative correnti, come a dire contro il quadro valori
normalmente in uso. Così, potremo dire che è paradossale che uno
come Berlusconi sia Presidente del Consiglio, anche se Dio sa se non avremmo
dovuto aspettarcelo, e parimenti paradossale – tanto per salvare la par
condicio – considereremo la prossima elezione dell’onorevole Fassino
alla testa del più grande partito della sinistra (o almeno di quanto ne
rimane). Nel dominio più ristretto della logica formale, tuttavia,
chiameremo “paradossi” soltanto quelle proposizioni autoricorsive che,
da qualsiasi parte le si prendano, contengono in sé la propria negazione:
quelle affermazioni – cioè – che tendono irrimediabilmente ad annullare
se stesse, come il classico serpente che si mangia la coda. Di paradossi
di questo tipo se ne citano molti, ma non è difficile ricondurli a un numero
abbastanza ristretto di tipologie. Conoscerete tutti, suppongo,
il paradosso del barbiere, quello per cui in un certo villaggio nessuno
si fa la barba da sé e tutti ricorrono all’opera del barbiere: il problema,
ovviamente, si pone quando bisogna spiegare chi fa la barba a costui e
non lo si può risolvere ipotizzando che il degno artigiano sia una donna.
Altrettanto noto vi sarà il paradosso del cretese (o, come più semplicemente
lo si definisce, “del bugiardo”): quando Epimenide di Creta sostiene
che tutti i cretesi sono bugiardi, l’affermazione risulta problematica,
perché se è vera riguarda anche Epimenide stesso, che però, in quanto bugiardo,
non può aver detto la verità, e se è falsa garantisce la sincerità di tutti
i cretesi, compreso Epimenide, che quindi non può aver detto il falso.
Esercizi mentali del genere possono sembrare abbastanza futili, ma
hanno suscitato l’attenzione di fior di pensatori: nel tentativo di smontare
i meccanismi logici su cui si reggono ha speso parecchie energie, per fare
un nome, il celebre Bertrand Russell.
E
il paradosso del collant l’avete mai sentito nominare? Non lo si
trova, che io sappia, nei trattati di logica, ma è largamente esibito,
in questi giorni, su certi manifesti affissi sui muri per pubblicizzare
l’ultimo articolo di una ditta produttrice di calze e affini. Si
tratta, a quanto è dato capire, di un particolare tipo di collant (“il
collant che modella” come si può leggere in calce) ed è reclamizzato,
oltre che con l’immagine di un sontuoso paio di chiappe liberamente esposte,
dallo slogan “Tutta nuda? PUOI”. Il “PUOI” in carattere
grande e in tutte maiuscole è evidentemente al centro del messaggio, che
si rivolge, dunque, a chi mettersi a nudo proprio non poteva.
Io
non so, naturalmente, che cosa si suppone che facciano le acquirenti di
quel prodotto una volta acquisita la possibilità di mettersi tutte nude.
Ma mi sembra evidente che la possibilità, in sé, gli sia offerta
da quel collant, e particolarmente dalle sue capacità di modellare e sorreggere.
Il senso del messaggio, se non mi sono ingannato, dovrebbe consistere
in una sorta di promessa, per cui anche coloro che, per un motivo o per
l’altro, non avrebbero mai avuto il coraggio di esibirsi in déshabillé
totale, ora potranno farlo grazie all’usbergo di quel prodigioso articolo
di maglieria intima.
Ed
è qui, naturalmente, che nasce il paradosso, perché non si capisce come
si possa pretendere di essere nude (anzi “tutte nude”) indossando un
indumento, sia pure il più impalpabile e trasparente che il mercato sia
in grado di offrire. Un collant non sarà un cappotto, ma è comunque
qualcosa che si indossa e alla categoria degli indumenti appartiene a pieno
diritto. E l’antinomia nudo / vestito è di quelle, come si dice,
“a somma zero”, nel senso che o si è nudi o si è vestiti e se è vero
che si può essere, a seconda dei gusti, delle mode e delle circostanze,
più o meno vestiti, non si può certamente essere più o meno nudi.
E
allora? Be’, allora niente. Visto che nemmeno la pubblicità
più ingegnosa può vendere un’impossibilità logica, è evidente che quei
manifesti sono ingannevoli. E infatti, a ben vedere, propongono un
inganno. Propongono alle esponenti del loro target la possibilità
di fingersi nude. Voi, care le mie ragazze – argomentano – con
il corpo che vi ritrovate farete bene a restare più coperte possibile,
a meno che, indossando il nostro collant che modella, non vi rassegniate
a simulare quella nudità che, allo stato di natura, vi viene preclusa.
Tutto il mondo è teatro e sul gran palcoscenico della vita è necessario,
anche nelle circostanze più private e più personali, un costume di scena.
Il
che, naturalmente, è vero. Ma di una ditta che esalta, nella sua
pubblicità, l’arte di gabbare il prossimo, voi vi fidereste davvero?
04.11.’01