Cosa fa il governo quando piove

La caccia | Trasmessa il: 11/12/2000




Che quando piove si sia autorizzati a dare del ladro al governo è una vecchia, vecchissima facezia della politica italiana.  Risale, se non vado errato, a quando la Destra storica dei Ricasoli e dei Sella fu rimpiazzata al governo dalla “sinistra” dei Cairoli e dei Depretis (gente, detto tra noi, che quanto a destrezza di mano non aveva nulla da imparare) e talvolta la si attribuisce, non so con quanto fondamento, allo stesso Giosuè Carducci, che di quegli anni agitati fu testimone e protagonista.   Ed è, come si addiceva a quei tempi una battuta, tutto sommato bonaria, che può essere ripetuta con pari soddisfazione da entrambi i versanti dello schieramento politico, perché chi è dalla parte dell’opposizione ne trae il gusto che sempre si prova nel dare del ladro al governo, e chi sostiene la maggioranza può sottolinearne l’evidente mancanza di consequenzialità, ricavandone, quasi, un implicito attestato di onestà per l’esecutivo.  Che è, indubbiamente, una conclusione forzata: anche senza tirare in ballo l’effetto serra (che il Carducci, ovviamente, ignorava), il fatto che il ceto dirigente non abbia responsabilità per la pioggia non esclude, naturalmente, che possa rubare.  Le due affermazioni sono del tutto indipendenti e nulla osta che siano vere entrambe.  A meno, naturalmente, che faccia bel tempo.

       Ma quando piove a Milano, capitale economica del paese, centro nazionale della finanza, dell’editoria, del commercio, della moda, del terziario avanzato e di chissà che cos’altro, quando piove nella città italiana che più si considera vicina all’Europa, e tutto si blocca, il traffico va in tilt, i tombini si ostruiscono, le vie di grande comunicazioni si trasformano in fiumane amazzoniche, le cantine si allagano, i semafori si spengono, esondano contemporaneamente il Seveso, il Lambro, l’Olona e la Vettabbia e il tempo di percorrenza sul percorso Porta Romana corso Sempione raggiunge le due ore e quaranta, che cosa dovremmo dire di coloro che ci governano a livello locale?  Non certo che rubino, Dio ne scampi, perché niente e nessuno ci autorizza a un’ipotesi in tal senso, ma che siano degli inetti sicuramente sì.  Il loro compito è quello di organizzare la vita cittadina in circostanze normali e non c’è nulla di più normale che, alla nostra latitudine e nella nostra posizione geografica, in autunno piova.  Se non piovesse, anzi, sarebbe un guaio ben grosso.  E pure, ogni volta che si verifica questo non proprio imprevedibile fenomeno l’intera città si ritrova, metaforicamente parlando, in braghe di tela, o, meno metaforicamente, nel guano fino al collo.

       Lo so, lo so, non vi dico niente di nuovo.   Ma, vedete, non ce la faccio più a leggere, un giorno sì e l’altro anche, i complimenti di cui sindaco, giunta e maggioranza municipale sono tanto prodighi verso se stessi, i riconoscimenti che non si  fanno mancare per le competenze dimostrate e il buon lavoro svolto, le sviolinate che gli riservano certi commentatori che magari menano vanto della propria indipendenza e obiettività, per dovere poi assistere allo sfacelo di una città in cui vivo da sempre e che, sarò forse un laudator temporis acti, ricordo governata se non con spaventosa efficienza, almeno con un minimo di buon senso.  Perché certo, le risorse sono scarse e i problemi sono immensi, il traffico è una bestia che non si doma da un giorno all’altro, per riorganizzare una rete di mezzi pubblici piuttosto obsoleta in modo da adeguarla alle necessità dell’oggi ci vuole del tempo eccetera eccetera, ma per sostituire le grate dei tombini con un modello meno ostruibile non ci vuole, in definitiva, un particolare genio amministrativo.  E in attesa dei radicali interventi cui presto o tardi qualcuno si dovrà decidere, in attesa di un passante ferroviario che è già stato inaugurato, se non erro, un paio di volte, ma non è ancora collegato con la ferrovia, o di una rete metropolitana che sia degna dell’aggettivo, siamo disposti ad accontentarci, per ora, di qualche tombino nuovo.

       Ma di darci i nuovi tombini questi inetti, questi incapaci, queste smentite viventi alla tradizione del buongoverno ambrosiano non hanno la minima idea.  Sono troppo occupati a volare di qua e di là, a presenziare a questo o a quell’evento, e, soprattutto, a cantare le proprie lodi.  Se spendessero in grate di scarico quanto dilapidano in pubbliche relazioni e in spese di immagine , per non dire di cerimonie di pubblico autoincensamento a carico del contribuente, come i previsti “Stati Generali”, la prossima volta che piove i pedoni riuscirebbero a non infradiciarsi fino a metà polpaccio.   Ma per i polpacci dei pedoni questi pavoni perennemente intenti a fare la ruota, queste cicale egoriferite non provano il minimo interesse.  I loro interessi sono di natura eminentemente estetica.  Non per niente gli unici interventi di cui, in questi quattro anni, ci è giunta notizia sono stati interventi di arredo urbano, di abbellimento, di facciata: di immagine, appunto.  Facciamo bella una piazza di là, anche se poi non ci si potrà più passare, mettiamo una fontana di qua, sostituiamo i panettoni di cemento con le colonnette di ghisa, che a svellerle non ci vuol niente, ma vuoi mettere come stanno bene, rifacciamo quella pavimentazione in granito che fa molta più figura, spargiamo dappertutto fioriere e alberelli e poco male se il risultato sarà quello di trasformare un dignitoso spazio ottocentesco come piazza della Scala in quella che Vittorio Gregotti ha definito, mi sembra, un dehors da stazione di provincia.  Fatui e provinciali quali sono, a loro le piazze delle stazioni di provincia piacciono molto e le fioriere e gli alberelli anche.  Che poi i fiori siano destinati a seccare e gli alberelli a deperire perché nessuno li innaffia e d’estate, a differenza che in autunno, a Milano non piove, e che ci siano, in compenso, centinaia di grossi alberi malati da sostituire nei viali e nei parchi, bo’, non è un problema che li riguarda.  Alla manutenzione hanno deciso una volta per tutte che debbano provvedere i cittadini in proprio, sponsorizando le aiole e adottando le vie.   Hanno persino aperto un ufficio cui rivolgersi a tal fine.  Che cosa vogliamo di più?


Naturalmente, non si può volere di più quando l’opposizione – o ciò che si spaccia per tale – non riesce neanche a trovare un candidato da opporre al principe dei pavoni, perché uno, che sarebbe stato tanto bravino, non ha avuto il permesso dal fratello maggiore e gli altri, avendo cose più serie da fare, rifiutano a raffica, con il risultato che quando se ne troverà uno il poveraccio farà la figura della scelta di quindicesima o sedicesima mano.   L’inettitudine, evidentemente, non è patrimonio della sola maggioranza.  Facciamoci forza, sarà un lungo inverno.


12.11.’00