Che quando piove si sia autorizzati a dare del ladro al governo è una vecchia,
vecchissima facezia della politica italiana. Risale, se non vado
errato, a quando la Destra storica dei Ricasoli e dei Sella fu rimpiazzata
al governo dalla “sinistra” dei Cairoli e dei Depretis (gente, detto
tra noi, che quanto a destrezza di mano non aveva nulla da imparare) e
talvolta la si attribuisce, non so con quanto fondamento, allo stesso Giosuè
Carducci, che di quegli anni agitati fu testimone e protagonista.
Ed è, come si addiceva a quei tempi una battuta, tutto sommato bonaria,
che può essere ripetuta con pari soddisfazione da entrambi i versanti dello
schieramento politico, perché chi è dalla parte dell’opposizione ne trae
il gusto che sempre si prova nel dare del ladro al governo, e chi sostiene
la maggioranza può sottolinearne l’evidente mancanza di consequenzialità,
ricavandone, quasi, un implicito attestato di onestà per l’esecutivo.
Che è, indubbiamente, una conclusione forzata: anche senza tirare
in ballo l’effetto serra (che il Carducci, ovviamente, ignorava), il fatto
che il ceto dirigente non abbia responsabilità per la pioggia non esclude,
naturalmente, che possa rubare. Le due affermazioni sono del tutto
indipendenti e nulla osta che siano vere entrambe. A meno, naturalmente,
che faccia bel tempo.
Ma quando piove a Milano, capitale economica
del paese, centro nazionale della finanza, dell’editoria, del commercio,
della moda, del terziario avanzato e di chissà che cos’altro, quando piove
nella città italiana che più si considera vicina all’Europa, e tutto si
blocca, il traffico va in tilt, i tombini si ostruiscono, le vie di grande
comunicazioni si trasformano in fiumane amazzoniche, le cantine si allagano,
i semafori si spengono, esondano contemporaneamente il Seveso, il Lambro,
l’Olona e la Vettabbia e il tempo di percorrenza sul percorso Porta Romana
corso Sempione raggiunge le due ore e quaranta, che cosa dovremmo dire
di coloro che ci governano a livello locale? Non certo che rubino,
Dio ne scampi, perché niente e nessuno ci autorizza a un’ipotesi in tal
senso, ma che siano degli inetti sicuramente sì. Il loro compito
è quello di organizzare la vita cittadina in circostanze normali e non
c’è nulla di più normale che, alla nostra latitudine e nella nostra posizione
geografica, in autunno piova. Se non piovesse, anzi, sarebbe un guaio
ben grosso. E pure, ogni volta che si verifica questo non proprio
imprevedibile fenomeno l’intera città si ritrova, metaforicamente parlando,
in braghe di tela, o, meno metaforicamente, nel guano fino al collo.
Lo so, lo so, non vi dico niente di nuovo.
Ma, vedete, non ce la faccio più a leggere, un giorno sì e l’altro
anche, i complimenti di cui sindaco, giunta e maggioranza municipale sono
tanto prodighi verso se stessi, i riconoscimenti che non si fanno
mancare per le competenze dimostrate e il buon lavoro svolto, le sviolinate
che gli riservano certi commentatori che magari menano vanto della propria
indipendenza e obiettività, per dovere poi assistere allo sfacelo di una
città in cui vivo da sempre e che, sarò forse un laudator temporis acti,
ricordo governata se non con spaventosa efficienza, almeno con un minimo
di buon senso. Perché certo, le risorse sono scarse e i problemi
sono immensi, il traffico è una bestia che non si doma da un giorno all’altro,
per riorganizzare una rete di mezzi pubblici piuttosto obsoleta in modo
da adeguarla alle necessità dell’oggi ci vuole del tempo eccetera eccetera,
ma per sostituire le grate dei tombini con un modello meno ostruibile non
ci vuole, in definitiva, un particolare genio amministrativo. E in
attesa dei radicali interventi cui presto o tardi qualcuno si dovrà decidere,
in attesa di un passante ferroviario che è già stato inaugurato, se non
erro, un paio di volte, ma non è ancora collegato con la ferrovia, o di
una rete metropolitana che sia degna dell’aggettivo, siamo disposti ad
accontentarci, per ora, di qualche tombino nuovo.
Ma di darci i nuovi tombini questi inetti,
questi incapaci, queste smentite viventi alla tradizione del buongoverno
ambrosiano non hanno la minima idea. Sono troppo occupati a volare
di qua e di là, a presenziare a questo o a quell’evento, e, soprattutto,
a cantare le proprie lodi. Se spendessero in grate di scarico quanto
dilapidano in pubbliche relazioni e in spese di immagine , per non dire
di cerimonie di pubblico autoincensamento a carico del contribuente, come
i previsti “Stati Generali”, la prossima volta che piove i pedoni riuscirebbero
a non infradiciarsi fino a metà polpaccio. Ma per i polpacci dei
pedoni questi pavoni perennemente intenti a fare la ruota, queste cicale
egoriferite non provano il minimo interesse. I loro interessi sono
di natura eminentemente estetica. Non per niente gli unici interventi
di cui, in questi quattro anni, ci è giunta notizia sono stati interventi
di arredo urbano, di abbellimento, di facciata: di immagine, appunto. Facciamo
bella una piazza di là, anche se poi non ci si potrà più passare, mettiamo
una fontana di qua, sostituiamo i panettoni di cemento con le colonnette
di ghisa, che a svellerle non ci vuol niente, ma vuoi mettere come stanno
bene, rifacciamo quella pavimentazione in granito che fa molta più figura,
spargiamo dappertutto fioriere e alberelli e poco male se il risultato
sarà quello di trasformare un dignitoso spazio ottocentesco come piazza
della Scala in quella che Vittorio Gregotti ha definito, mi sembra, un
dehors da stazione di provincia. Fatui e provinciali quali sono,
a loro le piazze delle stazioni di provincia piacciono molto e le fioriere
e gli alberelli anche. Che poi i fiori siano destinati a seccare
e gli alberelli a deperire perché nessuno li innaffia e d’estate, a differenza
che in autunno, a Milano non piove, e che ci siano, in compenso, centinaia
di grossi alberi malati da sostituire nei viali e nei parchi, bo’, non
è un problema che li riguarda. Alla manutenzione hanno deciso una
volta per tutte che debbano provvedere i cittadini in proprio, sponsorizando
le aiole e adottando le vie. Hanno persino aperto un ufficio cui
rivolgersi a tal fine. Che cosa vogliamo di più?
Naturalmente, non si può volere di più quando l’opposizione – o ciò che
si spaccia per tale – non riesce neanche a trovare un candidato da opporre
al principe dei pavoni, perché uno, che sarebbe stato tanto bravino, non
ha avuto il permesso dal fratello maggiore e gli altri, avendo cose più
serie da fare, rifiutano a raffica, con il risultato che quando se ne troverà
uno il poveraccio farà la figura della scelta di quindicesima o sedicesima
mano. L’inettitudine, evidentemente, non è patrimonio della sola
maggioranza. Facciamoci forza, sarà un lungo inverno.
12.11.’00