Contraddizioni devote

La caccia | Trasmessa il: 12/02/2007


    Strane cose, a volte, si leggono. Apprendo, per esempio, da “Repubblica” di giovedì 29 che il presidente della Camera Bertinotti è riuscito a sottrarre un pomeriggio ai suoi impegni, che suppongo molti e gravosi, per andare in una chiesa di Trastevere a presentare il libro che Gianfranco Grieco, uno degli inviati più noti dell' “Osservatore romano”, ha dedicato a papa Wojtyla. L'opera, per la cronaca, si intitola Pellegrino, è pubblicata dalle Edizioni Paoline e tutto fa supporre che non si distacchi un gran che dalle molte agiografie che al compianto pontefice sono state già dedicate. Ma non l'ho letta e naturalmente potrei sbagliarmi.
    Bah. Una volta, negli ambienti laici, era considerato di cattivo gusto parlare dei propri rapporti con il Padreterno. Nulla vietava di dichiarare in pubblico di essere più o meno credenti, ma di solito lo si faceva in stretta congiunzione con la particella avversativa “ma”, in proposizioni del tipo di “Io personalmente non ci credo, ma non intendo certo negare che ...” o “Io sono credente, ma rispetto tutti i punti di vista, compreso quello” eccetera. A parte questi casi, però, l'argomento veniva considerato strettamente personale e si preferiva non soffermarcisi coram populo. Negli ultimi tempi, purtroppo, questa buona abitudine si è un po' persa: da quando hanno capito che la chiesa stava stringendo le briglie ideologiche sul collo del paese, sono stati parecchi i leader e le personalità che hanno scoperto in sé tracce cospicue di pietà e devozione. Bertinotti, così, non ha fatto un outing clamoroso come quello di Fassino, ma ha spiegato più volte che il tema dell'aldilà non lo lascia indifferente e oggi è considerato un politico con cui con profitto la chiesa può dialogare.
    Difatti “Repubblica” gli dedica una intervista a piena pagina, con strillo in prima, sotto il titolo “Laici e credenti, dialogo obbligato”. Un titolo, naturalmente, a pera, perché la contrapposizione non è mai tra laici e credenti, ma tra credenti e non credenti, o – se preferite – tra laici e clericali, visto che chi crede può essere benissimo laico e nulla vieta che un ateo sia clericale (tutti avrete in mente i relativi modelli), ma si sa che i titoli li fa il titolista, non rientrano nella responsabilità dell'intervistato e di solito c'entrano poco o nulla con il contenuto del testo. E infatti Bertinotti dice, in materia, un certo numero di cose sensate, si esprime contro l'integralismo, auspica il dialogo con i diversi, spiega che i contrasti si superano con la “educazione alla convivenza” intesa come “unica strada civile” e anche se io, personalmente ci andrei piano nel definire Wojtyla soprattutto un “messaggero di pace”, pensando alle sue responsabilità nello scoppio della mattanza balcanica e alla lunga guerra condotta senza esclusione di mezzi contro il socialismo reale, nel complesso fa onore alla sua fama di uomo pensoso e responsabile.
    Non si capisce bene, però, perché senta il bisogno di dichiarare, in risposta a una domanda sui proclami di papa Wojtyla e del suo successore sulla presenza pubblica della fede, che “In Italia non è una novità la presenza del fenomeno religioso nella costruzione della società civile” e di aggiungere di trovare “comunque sbagliato ... rifiutare alla religione di configurarsi nello spazio pubblico” perché “non si può pretendere di rinchiudere una fede in un fatto puramente privato”. Che è, più o meno, la negazione del fondamento di base del pensiero laico, in base al quale solo considerando la religione, appunto, un fatto privato si può assicurare il dialogo, combattere l'integralismo e garantire la libertà di coscienza. La chiesa, naturalmente, non è d'accordo, perché ha sempre considerato proprio diritto imporre a tutti i propri punti di vista e chiedere allo stato che sanzioni giuridicamente la validità erga omnes delle relative norme, ma è appunto nella lotta contro questa pretesa che si è costituita, col tempo, la società laica moderna. E Bertinotti probabilmente lo sa,tanto è vero che, subito dopo, polemizza contro chi “crede di affermare che solo l'adesione a una fede consente di giungere alla verità” e chi “pensa che da una cattedra religiosa possa venire un'indicazione alla politica su quale deve essere la strada giusta.” Parole sacrosante, ma contraddittorie rispetto alle precedenti, anzi, affatto inconciliabili con le precedenti. E spiace vedere un leader simpatico come il subcomandante Fausto far la figura, per l'evidente desiderio di riuscire gradito alla controparte, di chi non capisce quello che, probabilmente, capisce benissimo.
    Ahimé. Sono cose che nella politica italiana succedono spesso. È costume diffuso, nella nostra classe dirigente, affermare tutto e il contrario di tutto, dichiararsi liberisti strenui e, al tempo stesso, protezionisti convinti, fautori delle riforme e difensori dello status quo , laici indeflettibili e rispettosi ammiratori di Sua Santità. Nell'Unione poi (se esiste ancora una Unione) di questa tecnica si fa da sempre larghissimo uso: è l'unico modo per fare convivere i Dini con i Rossi e Turigliatto, le Binetti con le Bonino, i Di Pietro con gli ambientalisti e, in ultima analisi, Romano Prodi con Walter Veltroni. Bertinotti certamente ne è consapevole e dal suo scranno di Montecitorio è intervenuto più volte con discrezione per impedire che i suoi, per eccesso di unilateralismo, facessero saltare tutto. Ma, benedetto uomo, doveva proprio andare a dire a un intervistatore che per essere laici bisogna sottostare alle pretese del papa?