Contradditori all'unanimità

La caccia | Trasmessa il: 06/03/2007


    Deve essere proprio un duro quel monsignor Fisichella che si è presentato giovedì sera in televisione per rappresentare, sia pure ufficiosamente, il punto di vista della Chiesa sulla spinosa questione dei preti pedofili. Sempre impassibile, serio ma sorridente, cortese con tutti, anche con i due incapaci che gli avevano affiancato come ospiti in studio, ha tenuto botta per due ore a Santoro e non si è lasciato smontare dall’ormai celebre documentario che la BBC ha dedicato all’argomento e che gli italiani hanno potuto finalmente vedere in onda. Sollecito verso le vittime, fermissimo nella condanna di quanto non si poteva non condannare, altrettanto fermo nel rifiuto di indebite estensioni di colpa, si è mosso con perizia sulla linea sottile che divide le responsabilità dei singoli da quelle della istituzione di cui fanno parte. E visto che non si può negare che una cosa è la Chiesa nel suo complesso e un’altra sono pochi preti sporcaccioni, turpi individui indegni persino del nome di sacerdote e destinati, comunque, a venire prontamente rimossi dai ranghi del clero e affidati alla giustizia penale, veniva quasi voglia di dargli ragione.

    In realtà, il suo compito era meno difficile di quanto, a prima vista, si sarebbe potuto supporre. Quel video, con tutto il clamore che ha suscitato, non rivelava un granché. Che nella Chiesa allignassero delle pecore nere di quel tipo, e in misura anche più ampia di quella documentata dalla BBC, lo si sapeva già: è un fatto largamente noto e documentato. Quanto alle autorità ecclesiastiche, l’unica accusa che gli veniva rivolta, in sostanza, era quella di aver tentato, con l’avallo di un paio di documenti del Santo Uffizio, di impedire che lo scandalo dilagasse al di fuori dei propri confini, secondo il principio, deplorevole e non esattamente evangelico, ma certo piuttosto diffuso, per cui i panni sporchi si lavano in famiglia. Nessuno in realtà, né Colm O’Gorman, l’autore dell’inchiesta, né Michele Santoro, né altri si è sognato di coinvolgere in altre accuse la gerarchia, a qualsiasi livello, per cui il bravo vescovo ha potuto cavarsela davvero con poco. Gli è bastato ritorcere sulla BBC l’accusa di aver presentato una denuncia senza ammettere alcun contraddittorio e sostenere che la riservatezza invocata dai vertici vaticani era finalizzata soltanto a garantire una tranquilla ricerca della verità, una specie di segreto istruttorio sulla cui esistenza non era il caso di fare tanto tran tran. Entrambi gli argomenti erano un po’ deboli, perché è difficile mettere in contraddittorio un argomento sul quale non c’è, in sostanza, nulla da contraddire e i testi del Santo Uffizio, con le loro ripetute minacce di scomunica per chiunque, vittime comprese, si lasci sfuggire una sola parola, suonano un poco più perentori di quanto non richieda qualsiasi esigenza processuale, ma erano più che sufficienti per rispondere alle tesi della controparte. Per cui tutti, salvo i due incapaci di cui sopra, hanno fatto la loro figura, tutti hanno detto quello che volevano dire e si sono lasciati, se non proprio a suon di pacche sulle spalle, con reciproche attestazioni di stima. Un vero trionfo del dialogo, della laicità e dello spirito di tolleranza.
    Perché allora, potrebbe chiedersi il cittadino perplesso, la trasmissione è stata preceduta (e in parte seguita) da tutto quell’immane casino? Perché una tal massa di ecclesiastici, deputati, amministratori RAI, giornalisti di grido, leader politici e ministri in carica si è agitata per un certo numero di settimane alla sola idea che quel video, raccapricciante, ma sostanzialmente innocuo, potesse giungere sui nostri schermi? Perché si è parlato con tanto livore di infame sciacallaggio, di indegni attacchi al pontefice, di manifesta ostilità per la Chiesa e via andare, come se la televisione pubblica si stesse approntando a mandare in onda un attacco al clero di dimensioni e violenza tali da suscitare perplessità persino nel fantasma di Voltaire? E perché – soprattutto – la trasmissione, una volta andata in onda, ha avuto il successo di audience che ha avuto, nonostante l’impostazione, vagamente soporifica, che la ha caratterizzata?
    Be’, è facile. Perché l’argomento, oggettivamente, scottava e tutti, sul fronte ecclesiastico clericale, ne avevano paura. Perché quando si comincia a parlare di queste cose, non si sa mai dove si può andare a finire. Perché il problema vero, quello che nessuno ha avuto il coraggio di affrontare, sta nel fatto che la presenza di poche (o molte) deviazioni del genere nei ranghi della Chiesa non può essere considerata un fatto occasionale, deve ben avere qualche rapporto con il modo con cui il cattolicesimo ha affrontato, per secoli, la sfera della sessualità. Perché insomma in una organizzazione esclusivamente maschile, malata da sempre di sessuofobia, misoginia, omofobia e quant’altro ci sarebbe da stupirsi se certi fenomeni fossero puramente casuali.
    Il che non significa, è ovvio, che si debba automaticamente accusare di pederotismo e perversione vescovi, parroci e chierici in massa. Significa soltanto che sarebbe ora di affrontare, in tutte le sue implicazioni, anche le più sgradevoli, il tema della cultura sessuale distorta e punitiva che la Chiesa ha imposto e impone ai fedeli (e, quando può, agli altri), dei danni che ha provocato a livello di psicologia sociale e individuale, della massa di infelicità, di repressione e di rimozione che da sempre ha prodotto. Di questo, siatene pur certi, non sentiremo parlare né dalla RAI né dalla BBC, ma senza affrontare questo problema spinoso qualsiasi contraddittorio sul tema non potrà che risolversi, come si è risolto giovedì scorso, in una desolante unanimità.

    03.06.’07