Continuità

La caccia | Trasmessa il: 05/23/2010


    Nell'anno 1935, quando Mussolini si adoperava per riportare l'impero sui colli fatali di Roma e cominciava a rendersi conto che la conquista dell'Etiopia, di fatto, era una impresa un po' più difficile di quanto avesse pensato, uno strano personaggio si presentò, a Roma, a certi ambienti riservati del Ministero della Guerra. Si chiamava o si faceva chiamare costui Chukry Jacir Bey ed era palestinese, anche se viaggiava con un passaporto diplomatico messicano. Aveva alle spalle dei rapporti alquanto turbolenti con le polizie di diversi paesi d'Europa, da tutti i quali era stato espulso, di solito per storie di debiti non pagati, ma vantava, pure, delle conoscenze altolocate. In particolare, si diceva amico del Negus Hāyla Sellāse e, in quanto tale, era latore di uno strano progetto. Avrebbe condotto con questo suo amico dei negoziati segreti, allo scopo di indurlo ad accettare quali condizioni di pace la cessione di gran parte del territorio etiopico e di consentire nelle altre regioni il controllo italiano. Nell'ipotesi che si stimasse opportuna una vittoria militare italiana per indurre la controparte ad accettare, ne sarebbe stata combattuta una preventivamente concordata nelle modalità e nell'esito dagli stati maggiori dei due paesi belligeranti. Per il caso che ogni trattativa fallisse, Jacir Bey si impegnava a rapire l'imperatore e a portarlo in aereo in territorio italiano. In cambio, chiedeva soltanto la modica somma di cento milioni di lire, anticipati sull'unghia.
    Be', quella dell'imbroglione che cerca di vendere al gonzo la Fontana di Trevi o il Colosseo è una figura classica del folclore romano, ma non si era mai visto nessuno che tentasse di vendere per cento milioni un impero. Fu forse per questo che gli credettero. Fu steso un regolare contratto, firmato da una parte dai colonnelli Faldella e Lucchini dello Stato Maggiore Generale e dall'altra da Jacir Bey stesso e la somma di cento milioni fu regolarmente versata e incassata tramite il Banco di Napoli. Dopodiché il mediatore tagliò, come si dice, la corda e anche se alcuni alti ufficiali italiani ritennero che il successo nella successiva Battaglia dei Laghi fosse dovuto più ai suoi buoni uffici che al valore delle nostre truppe, non sembra che il piano sia stato portato a esecuzione. Certamente Hāyla Sellāse non cedette sua sponte l'impero e non fu rapito e trasportato per via aerea in Italia. La vicenda, che fino allora aveva esibito soprattutto le caratteristiche di una farsa, ebbe una conclusione più inquietante tre anni più tardi, quando un tale Charles Ansiaux, cittadino belga, dichiarandosi socio e finanziatore del palestinese, cercò di farsi pagare dal governo fascista una somma ingente per non rendere noti i documenti relativi all'affare, che avrebbero senza dubbio creato qualche imbarazzo alle persone e alle istituzioni coinvolte. Jacyr Bey e l'Ansiaux, a questo punto, furono localizzati in Olanda da uomini dei servizi militari italiani e scomparvero in via definitiva dalla faccia della terra. A dimostrazione del fatto che gli intrighi politico militari in cui sono coinvolti quelli che pudicamente si definiscono “i servizi” sono al tempo stesso più squallidi e meno divertenti di quanto non li presenti la narrativa specializzata.
    La vicenda di Jacyr Bey non compare nei libri di storia, ma non è sconosciuta agli studiosi. È stata rievocata nel 1945 in un volume, Servizio segreto – Cronache e documenti dei delitti di stato, che l'editrice Odradek ha riproposto proprio in questi giorni. L'autrice, Clara Conti, collaboratrice in quell'anno dell'Alto Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo, riferisce di un'ampia indagine che il giudice istruttore Italo Robino aveva condotto su certe attività del SIM, il Servizio Informazioni Militari, come a dire l'organo di controspionaggio dello Stato maggiore, diretto, dal 1934 al '37 dal generale Mario Roatta. Ne erano emerse, letteralmente, di ogni. In effetti la faccenda di Jacyr Bey, ancorché forse la più pittoresca, rappresenta solo una piccola parte delle imprese attribuite ai Servizi e ai loro uomini. L'inchiesta rivela precise responsabilità in ordine all'attentato al re Alessandro di Jugoslavia, nel 1934, all'omicidio dei fratelli Rosselli, nel 1937, a un numero impressionante di sabotaggi e atti di terrorismo contro navi e treni addetti al trasporto di materiale per il governo repubblicano spagnolo, oltre a tutta una serie di contatti cospirativi con le più note organizzazioni terroristiche della destra francese. Ne era uscita, insomma, la storia di una vera e propria politica estera parallela e clandestina dello stato fascista, condotta da un pugno di uomini che avevano trasformato la vecchia struttura militare in un moderno corpo separato, mettendolo a disposizione dell'ala estrema e più irresponsabile del fascismo. Gli imputati, tutti processati e condannati a gravissime pene, non ne avrebbero tuttavia scontato nemmeno la minima parte, perché i gradi successivi di giudizio cancellarono, o fortemente ridussero, le precedenti sentenze.
    Che volete che vi dica? All'autrice, che aveva seguito l'inchiesta come segretaria del magistrato inquirente, al giudice Robino, al conte Sforza, alto commissario per le sanzioni contro il fascismo e a Mario Berlinguer, alto commissario aggiunto, la scoperta di questo verminaio deve aver fatto, si capisce, molta impressione, soprattutto man mano che si accorgevano che le autorità del neonato stato democratico non avevano, tutto sommato, alcuna intenzione di fare pulizia e che gli uomini su cui stavano indagando erano pronti a passare armi e bagagli alla causa dell'antifascismo. L'uomo chiave dell'inchiesta, per dire, un colonnello Santo Emanuele che nel SIM di Roatta sembra aver rivestito il ruolo esecutivo e a cui si deve la più parte delle rivelazioni (comprese quelle su Jacyr Bey), fu arrestato il giorno stesso in cui doveva essere assunto dall'Alto Commissariato in veste di epuratore e, del resto, si era già riciclato come informatore per l'esercito americano. E l'autrice registra, d'altronde, le non poche pressioni che sugli indagatori non mancavano di fare i comandi dei carabinieri (da cui il SIM dipendeva) e i loro tentativi di interferenza.
    A noi, tutta la storia di impressione ne fa molto meno. All'azione parallela dei servizi “deviati” (con le debite virgolette) siamo ormai più che avvezzi. La storia italiana recente è stata segnata dalle gesta (supposte, naturalmente) dei Giannettini, dei Maletti, dei Labruna e degli altri, e la denuncia delle loro trame è stata parte importante della nostra educazione politica. Ma fa impressione, lo converrete, scoprire in quelle attività le origini di quelle supposte devianze, scoprendo, per coisì dire, il filo rosso (o, meglio, nero) che lega la storia di oggi con quella di ieri. Si è parlato spesso della continuità tra lo stato fascista e quello democratico, ma forse non ci si è mai resi conto del ruolo del come siano stati i servizi a garantirla, o addirittura a incarnarla. Quando leggiamo, sul Corriere dell'altro ieri, che un funzionario dei servizi è indagato per la strage di via D'Amelio, di fatto, la notizia ci sembra addirittura banale. Queste vecchie pagine di memorialistica ci parlano soprattutto di noi.
    23.05.'10


    Nota

    Il nome di Chukry (Chruey nel testo della Conti, Chubry nel testo riportato del contratto con lo Stato Maggiore, ma probabilmente sono errori di trascrizione) Jacir Bey è riportato secondo la grafia francesizzante che si usava allora per le cose mediorientali. Noi scriveremmo, probabilmente, Shukry Yassir (ma non ne sono sicuro). Il nome dell'imperatore Hāyla Sellāse è comunemente traslitterato con la forma fonetica Hailé Selassié. L'unica altra opera, a mia conoscenza, che riferisca qualcosa della vicenda è il saggio di Franco Bandini, Gli Italiani in Africa, Storia delle guerre coloniali 1882 – 1943, Milano, Longanesi & C., 1971, pp. 351 – 401 e 532 – 551. Il volume Servizio segreto – Cronache e documenti dei delitti di Stato, pubblicato nel dicembre 1945 a Roma da Donatello De Luigi Editore, è ripubblicato dalla Odradek con una prefazione di Davide Pinardi e note biografiche a cura di Margherita Marcheselli.