Consolazioni al negativo

La caccia | Trasmessa il: 06/14/2009


    Visto che ci conosciamo da tanti anni, posso farvi una confidenza di natura privata. In seguito a vari accidenti su cui non è il caso, adesso, di soffermarci, io devo sottopormi con regolarità a certe cure. Non sono, in sé, terapie particolarmente complesse, ma di fastidio ne provocano un po', e, soprattutto, possono rendere piuttosto complicata la vita: è per causa loro, così, se tra febbraio e marzo – quest'anno – ho dovuto saltare questo nostro appuntamento domenicale per più di un mese. Ma la loro caratteristica principale – dopo anni di pratica, ormai, posso assicurarvelo senza tema di smentite – è quella per cui, dopo averle coscienziosamente applicate, ci si ritrova assolutamente al punto di prima, con tutti i propri acciacchi così com'erano e senza percepire giovamento alcuno. La cosa, naturalmente, non preoccupa affatto i medici, che mi assicurano imperturbabili che quelle cure patentemente inutili mi tocca farle lo stesso: se mi comportassi altrimenti, a loro dire, dio sa quali danni me ne deriverebbero e a quali drammatici peggioramenti dovrei sottostare. E visto che al peggio non c'è mai limite, l'argomento è, a suo modo, definitivo e me ne devo accontentare. Pure, resta in me vivo il sospetto che un simile modo di ragionare non sia né logicamente ineccepibile né metodologicamente corretto e visto che ai problemi logico metodologici, grazie alla frequentazione dell'amico Accame, mi dedico da una vita, ho l'impressione di ritrovarmi, come si suol dire, cornuto e mazziato, con una gamba sempre più malconcia da trascinare e una giustificazione insoddisfacente sulla quale arrovellarmi.
    La medicina, si sa, ha i suoi limiti. Tuttavia, vi sarete accorti anche voi che quel tipo di argomentazione consolatoria – la logica, per intenderci, del “sarebbe potuto andare assai peggio” – è straordinariamente diffuso anche in altri campi. In politica, per esempio, alligna con vigore straordinario. Dopo il passaggio elettorale di domenica scorsa, per esempio, non c'è stato leader, alto, medio o basso, della sinistra o presunta tale che non l'abbia, in una forma o nell'altra, fatto suo. Sì, ci hanno detto più o meno tutti, abbiamo perso quattro milioni di voti in un anno, ne abbiamo dispersi due e mezzo in liste sotto il quorum, siamo ridotti al ballottaggio a Firenze e a Bologna, ci abbiamo rimesso l'Umbria e le Marche, a Milano è nadata come è andata, ma, in fondo... in fondo possiamo considerarci soddisfatti lo stesso. L'odiato Berlusca non ha raggiunto il livello che si era proposto, il suo progetto di egemonia si è infranto clamorosamente (?), la dialettica democratica del Paese si regge ancora. E poi, e poi... andiamoci piano nello stracciarci le vesti. Sì, i radicali li abbiamo cacciati a calci dalla lista perché se no la Binetti e la Bindi ci restavano male, ma il loro due e sei per cento va conteggiato lo stesso a nostro favore. Altrettanto va detto per le liste a sinistra e se non sono riusciti a fare il quorum non è colpa nostra. La differenza in cifre assolute tra i due blocchi non è poi clamorosa come sembra e in definitiva, guardiamoci pure negli occhi, le cose sarebbero potuto andare molto, ma molto peggio.
    Ciascuno, com'è noto, si consola come può. Chi lo fa con la filosofia, chi con il grignolino e chi, semplicemente, chiudendo gli occhi di fronte alla realtà. Mio padre, ricordo, citava sempre la mitica figura dell'Abate di Lasche, quello che i calci intu cü i piggiava per frasche – che prendeva per carinerie i calci nel sedere – e viveva beato e contento, senza recare molestia a alcuno. Ma quando la consolazione è troppo palesemente autogiustificatoria, quando, cioè, ti viene proposta da quelli stessi che, con le loro scelte e le loro strategie, ti hanno cacciato nella situazione da cui devi essere consolato, be', il discorso è abbastanza diverso. Tutti possono sbagliare, ma tutti possono pretendere che chi ha sbagliato ne tragga le debite conseguenze, ritirandosi, per esempio, a vita privata e rinunciando ad avanzare delle proposte che da troppi anni si rivelano fallimentari. Oltretutto, hanno raggiunto quasi tutti da tempo l'età della pensione. Invece niente: sono ancora lì imperterriti al loro posto, pronti a ricominciare i soliti giochi. Potrebbe andar peggio, naturalmente, ma non è facile immaginarsi come.

    14.06.'09