Complicità

La caccia | Trasmessa il: 11/08/1998




Vi siete mai chiesti cosa possa pensare, se pensa, il generale Augusto Pinochet in questi giorni di quasi detenzione londinese?  Io non mi azzarderei a fare ipotesi.  È già abbastanza difficile cercare di penetrare i processi mentali degli esseri umani, figuriamoci con uno come lui, che tanto umano non è.   Può darsi che creda davvero di subire un torto, di non avere colpe di cui difendersi davanti alla Camera dei Lord, ai tribunali spagnoli o alla storia.  Può darsi che il vecchio macellaio sia sinceramente convinto che il tradimento, il golpe e la dittatura siano state davvero azioni necessarie e meritorie perché il Cile nel ’73 stava per cadere in mano all’Unione Sovietica e che la morte di Salvador Allende vada considerata, come ha avuto il coraggio di dichiarare, un suicidio, dovuto all’ostinazione a non accettare le “garanzie di sicurezza” che lui, il generale fellone, gli aveva offerto.  Ciascuno difende la propria immagine come può, anche e soprattutto di fronte a se stesso.

Di una cosa, tuttavia, deve essere convinto anche lui.  Del fatto che, se come sembra purtroppo probabile, riuscirà a cavarsela, se i Lord mercoledì prossimo lo autorizzeranno a tornare, non sarà certo perché la giustizia internazionale avrà ritenuto validi i suoi poveri argomenti, compreso quello dell’irresponsabilità e dell’incolumità che gli toccherebbero in quanto ex capo di stato.  L’avere a che fare con un ex capo di stato, o – quanto a questo – con un capo di stato in carica, non ha mai impedito a governi e tribunali di punire coloro che intendono punire, una volta che siano riusciti a mettergli le mani addosso.  Ricordatevi di cosa è successo a Noriega, che, per quanto ne so, deve essere ancora rinchiuso in qualche prigione della Florida, o pensate a cosa succederebbe a Saddam Hussein se finisse nelle mani dei suoi nemici americani o britannici.

       Ma il fatto è che Pinochet non è nelle mani dei suoi nemici.   È, molto metaforicamente, nelle mani delle autorità inglesi, di un governo, cioè, che sarà anche di sinistra, figuriamoci, ma non ha mai messo in discussione, anzi, continua impavido a sostenere il ruolo egemonico a livello mondiale degli Stati Uniti e il sistema politico internazionale che su di esso si fonda.  Lo si è visto benissimo anche nel corso dell’ultima crisi iraqena.  E spero che nessuno si sia dimenticato di come il golpe cileno del ’73 non sia stato – ripeto: non sia stato – programmato , voluto e organizzato dal generale Pinochet.  Lui lo ha eseguito e gestito, certo, e ne ha gestito per quattordici anni e passa gli esiti, ma non è un segreto per nessuno che a volere e predisporre quella sanguinosa rottura della legalità democratica furono, per conto del loro governo, i servizi segreti americani.  Non per niente il Cile della dittatura è stato il primo paese del Sud del mondo a sperimentare sulla propria pelle, oltre che la vecchia, sperimentata violenza dei militari, la nuova violenza delle ricette economiche che i paesi ricchi impongono a quelli poveri.  Dei padroni del mondo Pinochet è stato, al tempo stesso, servo e complice ed è su questo, in sostanza, che si fondono le sue residue speranze di salvezza.   Quando dalla giustizia si ha tutto da temere, deve essere confortante sapere di poter contare su qualche solida complicità.


Oh, a proposito.  Dire che si ha tutto da temere dalla giustizia non significa, naturalmente, che si ha tutto da temere dai giudici.  I giudici spesso hanno le mani legate.  Anche un magistrato milanese, un esponente di quella Procura di cui non ci stanca di lodare le benemerenze democratiche, ha deciso che a una denuncia presentata contro il dittatore cileno nella nostra città non si poteva dar corso.  Avrà avuto sicuramente tutte le ragioni e non sarò certo io a lamentarmi di un caso di rigida applicazione delle norme poste a garanzia di chi viene accusato.  Ma è una bella scarogna, lo ammetterete, che le garanzie e il garantismo, che talvolta sono considerati un di più, se non un impaccio ai fini della giustizia, funzionino sempre per tipi come il generale Pinochet.

22.11.’98