Competenze

La caccia | Trasmessa il: 11/02/2008


    Avevo sempre creduto che il motivo per cui Berlusconi ci tiene tanto ad andare alle elezioni europee con una legge elettorale senza voto di preferenza fosse lo stesso che tenta Veltroni, anche se lui, ovviamente, non lo può dire, ovvero il fatto che un meccanismo del genere, assecondando la ben nota tendenza del ceto politico di perpetuarsi per cooptazione, risulta molto più comodo a chi, nell'ambito proprio, comanda. Capirete: orientare le preferenze nel senso desiderato era cosa che, ai bei tempi, poteva fare solo l'organizzazione del vecchio PCI; oggi, con i partiti di plastica che si vedono in giro, ne verrebbe fuori un mezzo casino e chiunque potrebbe crearsi una posizione di potere o autorevolezza personale anche contro il gradimento dei capi. I quali capi, in linea di principio, il potere preferiscono non spartirlo con nessuno.
    Lo avevo sempre creduto, vi ho detto, ma mercoledì scorso, leggendo il giornale ho scoperto che le motivazioni del Nostro sono più nobili. A lui, come sempre, stanno a cuore soltanto gli interessi del paese. “Voglio” ha detto “che in Europa vada gente altamente qualificata e che in tutte le commissioni ci siano professionisti di sicuro valore. Solo scegliendo noi chi va in lista saremo sicuri di una rappresentanza capace di difendere i nostri interessi.” Con le attuali preferenze, invece, “sarebbe eletto chi è più capace a farsi promozione” come a dire che “si tornerebbe alla stagione precedente”.
    Detto proprio da lui, quel riferimento sdegnoso a “chi è più capace di farsi promozione” fa un poco specie. Ma il punto, naturalmente, non è questo. Come non ha molta importanza il fatto che quelle parole, apparentemente così sensate, sulla necessità di avere dei politici competenti si ricolleghino a un'antica tradizione antidemocratica, che risale addirittura a Platone (credo sia nella Repubblica quel brano in cui Socrate spiega che quando uno ha bisogno di una nave va dal costruttore di navi e quando gli serve il pane va in panetteria – o qualcosa del genere – e non si capisce perché per governare lo stato ci si debba rivolgere a dei cittadini qualunque.) Berlusconi non è Platone, anche se condivide con lui un certo fastidio per l'idea stessa di governo popolare, e le competenze cui pensava Socrate erano tutt'altre di quelle che normalmente si riconoscono a lui.
    No, il vero problema in quella dichiarazione sta nel “noi” e nel “nostro”. Solo “scegliendo noi” ha detto il capo, avremo eletti capaci di difendere i “nostri” interessi. Ma noi chi? Noi cittadini? È vero che gli eletti, agendo senza limiti di mandato, devono rappresentare appunto gli interessi dei cittadini, ma se a designarli, conseguentemente, devono essere costoro le obiezioni al voto di preferenza vanno a farsi benedire. Noi dirigenti di Forza Italia e del Partito delle Libertà? Difficile: nemmeno lui può pensare che i deputati di Strasburgo siano tenuti a difendete gli interessi dei suoi collaboratori, ai quali, d'altronde, di solito non lascia prendere una decisione importante che sia una, figurarsi scegliere chi dovrà essere eletto. Lui queste cose le decide da solo. Eppure dice “noi”...
    Insomma. l'unica soluzione è che quel pronome e quell'aggettivo abbiano un valore maiestatico. L'ipotesi si addice al carattere del personaggio, nonché alla sua convinzione di essere, per la sua parte, l'unica vera risorsa, e di esprimere senza mediazioni, grazie al consenso “quasi imbarazzante” di cui gode, la vera volontà popolare. La proposizione in esame, dunque, andrà letta “Solo se scelgo io chi va in lista saremo sicuri di una rappresentanza capace di difendere i miei interessi.” Che è senza dubbio una dichiarazione plausibile e sincera, ma nemmeno Platone, credo, avrebbe avuto il coraggio di sottoscriverla.

    02.11.'08