Coerenze obbligate

La caccia | Trasmessa il: 01/18/2009


    Strane cose accadono in questo paese. Può succedere, per esempio, che in difesa delle prerogative e dei valori del Parlamento si levi, praticamente unica, la voce di Gianfranco Fini, che, in quanto erede politico di Giorgio Almirante e teorico, prima e dopo Fiuggi, del presidenzialismo a oltranza, non si può certo dire il prototipo del parlamentarista puro. Oppure che l'unico politico disposto a condannare con un poco di grinta i bombardamenti israeliani su Gaza sia quel Massimo D'Alema che proprio in tema di bombardamenti si porta dietro delle responsabilità che non tutti sono disposti a dimenticare. O anche che per convincere il ministro della giustizia del lontano Brasile a concedere lo status di rifugiato politico a Cesare Battisti, bloccandone l'estradizione in Italia, si riveli decisivo il parere di Francesco Cossiga. Tutti, naturalmente, hanno il diritto di cambiare opinione, ma ammetterete anche voi che qualche perplessità queste prese di posizione la suscitano. Cossiga, per esempio, di opinioni ne ha cambiate parecchie, ma ciò non toglie che sia stato, nei non lontanissimi anni '70, uno dei protagonisti di quella dottrina della fermezza che negava che alle azioni del “partito armato”, come lo si definiva, si potesse attribuire qualsiasi valore politico, che è appunto quello che oggi dichiara di riconosce agli atti imputati a Battisti, e il fatto che, secondo me, il giudizio di oggi sia giusto e quello di ieri sbagliato non elimina la contraddizione. Ma sono appunto le contraddizioni di questo tipo che, a quanto pare, in Italia hanno cessato di avere importanza: è come se la cultura dominante nel nostro ceto politico abbia interpretato la crisi delle ideologie, che è una cosa seria, come una esenzione generale da ogni obbligo di coerenza. Così un ex missino può difendere il sistema parlamentare con toni e parole che nessun liberale conclamato riesce ormai a trovare, l'ex Presidente del consiglio della “guerra umanitaria” per il Kosovo può piangere sui danni che a Gaza subisce la popolazione civile e l'ex ministro degli interni del kappa e delle due esse runiche può atteggiarsi sul piano internazionale ad alfiere dei diritti civili. E nessuno sente il bisogno di mandarli, come minimo, a quel paese.
    Certo, tutti e tre avevano i loro motivi per dire quello che hanno detto. Fini e D'Alema erano in cerca di argomenti per le loro eterne schermaglie con i compagni di partito e di coalizione e Cossiga, si sa, se non parla scoppia. In qualche misteriosa maniera, ha ottenuto da chi di dovere una specie di ius externationis illimitato, l'autorizzazione di dire qualsiasi cosa, sensata o insensata, gli frulli per la capoccia e non si può dire che non ne approfitti. Tanto nessuno lo contraddice. In questa occasione, in via affatto eccezionale, qualche protesta c'è stata, ma l'hanno indirizzata, per lo più, alle autorità brasiliane e comunque pensate che cosa sarebbe successo se affermazioni del genere le avesse fatte, che so, Veltroni o qualcuno dei suoi.
    Va anche detto che quest'ultima ipotesi è puramente teorica, nel senso che non ci sono grandi probabilità che si realizzi. Il giudizio sugli anni '70, l'imputazione di terrorismo sul partito armato e il rifiuto di affrontare il problema in termini politici e di chiudere quella vicenda in qualsiasi altro modo che non sia giudiziario restano l'unico caposaldo dell'ideologia politica del paese. In particolare, lo si è visto anche questa volta, e già lo si era visto giorni prima con il cancan relativo alla presunta “lezione” di Morucci alla “Sapienza”, la sinistra (o quel che ne resta) sembra incapace di uscire dalle categorie elaborate e applicate ai tempi di Berlinguer. Non importa che non le resti nulla di quella stagione, che la superiorità morale, la consistenza numerica e la capacità organizzativa che allora la caratterizzavano siano ormai solo un ricordo: sulla ostinazione a gestire quel pezzo di storia in termini esclusivamente polizieschi quella parte politica non transige e dal convincimento che ai suoi protagonisti superstiti non spetti altro che la galera non recede. Il risultato è che i suoi protagonisti devono rassegnarsi a farsi dare delle lezioni di realismo politico nientemeno che da Cossiga. Altro, d'altronde, non possono fare: se mettessero in discussione le scelte di allora, dovrebbero interrogarsi su tutto il percorso che ne è scaturito e – fatalmente – sul loro stesso ruolo di oggi, sulle loro responsabilità nella catastrofe che stiamo vivendo. Nel clima di generale incoerenza che li contraddistingue, almeno su questo la loro coerenza è obbligata.

    18.01.'09