Chiacchiericci

La caccia | Trasmessa il: 04/11/2010


    Se è vero che a coloro che vuole mandare in rovina il dio, innanzi tutto, toglie il senno, tempi durissimi attendono, nonostante la sua forza millenaria, la Chiesa cattolica. Soltanto un dio piuttosto mal intenzionato, in effetti, potrebbe aver suggerito al cardinale Sodano, decano del Sacro Collegio ed ex Segretario di Stato le parole con le quali, prima della messa di Pasqua in San Pietro, ha irritualmente espresso al Papa la solidarietà della Chiesa tutta, cardinali, vescovi, sacerdoti e quel “popolo di Dio che non si lascia impressionare dal chiacchiericcio.” Una espressione, quest'ultima, particolarmente infelice, ancorché già utilizzata dal Pontefice stesso nel suo discorso di una settimana prima: nel contesto cui si riferiva Sodano, che era quello, notoriamente, dello scandalo sulla pedofilia nel clero, ricordava davvero troppo quella sprezzante riduzione a mero gossip con cui, mesi prima, gli uomini di Berlusconi avevano cercato di svalutare le accuse rivolte al loro capo, con la differenza, naturalmente, che questa volta non si trattava delle intemperanze di un singolo, sia pure potente, ma di un insieme di “comportamenti deviati” più diffusi di quanto si potesse temere nel corpo ecclesiastico, con gli effetti più deleteri sulla vita di migliaia di persone. Che le accuse, le proteste, le manifestazioni di indignazione legate alla scoperta di tutto ciò andasse considerato un futile chiacchiericcio lo poteva supporre soltanto un prelato che proprio non riusciva a capire i termini del problema. E che alla figura del Papa, ormai inchiodato alle sue responsabilità amministrative, possa giovare l'essere in un certo senso berlusconizzato, che la strategia più adeguata ai fini della sua difesa sia quella di un ostinato e sdegnoso silenzio, è cosa che può supporre soltanto una dirigenza ecclesiastica che non solo non capisce nulla di comunicazioni di massa, ma è definitivamente fuori dal mondo.
    D'altro canto, non è che possano far nulla di molto diverso, a rischio di complicare ulteriormente le cose. Tentare di prendere il problema di petto, senza cercare di minimizzarlo, può condurre ad aporie anche maggiori. Vedete per esempio la lettera che ha mandato a “Repubblica” don Julián Carrón, che non sarà né vescovo né cardinale, ma come Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione resta un pezzo piuttosto grosso, ed è, mi dicono, piuttosto vicino al Pontefice. Lui, apparentemente, non minimizza nulla: “La richiesta di responsabilità, il rimprovero degli errori commessi nella conduzione della vicenda” gli sembra “totalmente insufficiente di fronte a questo mare di male”. Niente sembra bastare e si capiscono, così, le “reazioni irritate” che si sono potute vedere in questi giorni. Ma se “la nostra esigenza di giustizia è senza confini, senza fondo tanto quanto la profondità della ferita, se nulla basta per soddisfare la sete di giustizia delle vittime, se niente è sufficiente per riparare il male fatto”, non si può forse evincerne che “tutta la volontà dell'uomo” non basta a “realizzare la giustizia cui tanto aneliamo?” Ne sarebbe consapevole, secondo don Carrón, lo stesso Papa, che pure, a suo avviso, ha fatto tutto quanto doveva per por fine allo scandalo. “L'esigenza di giustizia” prosegue il successore di don Giussani, citando il suo maestro, “è una domanda che si identifica con l'uomo, con la persona” e “senza la prospettiva di un oltre, di una risposta che sta al di là delle modalità esistenziali sperimentabili la giustizia è impossibile”. Solo a Cristo, in definitiva, si può far appello perché sia fatta quella giustizia di cui l'uomo è incapace. Il che, in una prospettiva religiosa, sembra ragionevole, perché non siamo certo noi a poter dare “una risposta che sta al di là delle modalità esistenziali sperimentabili” (non possiamo, cioè, mandare i pedofili all'inferno). Ma – attenti! – bisogna evitare “uno scoglio particolarmente insidioso”, la “tentazione protestante” sempre in agguato di “staccare Cristo dalla Chiesa”. Perché solo nella comunione della Chiesa si incontra il Cristo e per questo l'unica giustizia che le vittime (e i colpevoli) potranno trovare consiste nella loro riconciliazione con la Chiesa, perché solo nel suo seno si può sperimentare “l'infinito amore di Cristo”, l'unica speranza per tutti di “sanare le loro ferite e ricostruire la loro vita”. Che è un bell'esempio, lo ammetterete, di autoreferenzialità ecclesiastica, nonché di rifiuto, detto senza parere, di qualsiasi giudizio o condanna dall'esterno. Restando nei limiti delle “modalità esistenziali sperimentabili”, qualsiasi intervento umano sarebbe inesorabilmente non adeguato.
    Non so voi, ma a me mancano le competenze per pronunciarmi su questo genere di teologia. Può aiutarci un poco la considerazione per cui questa Chiesa che, rivendicando la propria sacralità, avoca a sé ogni giudizio su se stessa, è la stessa Chiesa che minimizza, che riduce a gossip le accuse, che non sa fare di meglio che ipotizzare un qualche complotto ai propri danni (un'altra mossa, tra parentesi, tipicamente berlusconiana). La contraddizione, se esiste, è puramente apparente. Entrambi gli atteggiamenti sono la manifestazione dello spirito totalitario di un'istituzione che fuori da sé non vede altro che vaniloquio e malevolenza e concentra dentro di sé ogni valore e ogni verità. La “tentazione protestante” da cui si diceva sarebbe, in ultima analisi, quella di considerarla una organizzazione puramente umana. E non dovrebbe essere difficile,a questo punto, guardarsene. In chi riesce ad autoassolversi con tanta disinvoltura, in chi dimostra tanta indifferenza per il dolore delle vittime, non c'è davvero molto di umano.
11.04.'10