Chi si lamenta e chi provoca

La caccia | Trasmessa il: 03/14/2010


    Dei lupi, com'è noto, si dice che perdano il pelo, ma non il vizio. La massima, per quanto antica, non funziona evidentemente all'inverso. Così, Berlusconi non perde il pelo – che anzi con il passare degli anni ne sfoggia sempre di nuovo – ma ai suoi vecchi vizi resta tenacemente legato. Per esempio, quando nel 2006 perse per un soffio le elezioni, non esitò a dichiarare che quella sconfitta era il frutto di chissà quali brogli. Non gli passò neanche per l'anticamera del cervello che al governo, al momento del voto, c'era lui e che è difficilissimo, dall'opposizione, organizzare dei brogli contro il governo, per cui l'unico significato dell'affermazione era quello di caricare di pesanti responsabilità il suo stesso ministro degli interni (il quale ministro, tra parentesi, protestò abbastanza vivacemente, con il risultato che oggi ministro non è più). Ma tant'è: su quell'accusa il nostro insistette con pertinacia degna di miglior causa, almeno fino a quando la sinistra, giunta così fortunosamente al governo, non provvide ad affondarsi da sola e il problema non perse del tutto d'importanza.
    Di un analogo problema di confusione di ruoli il Presidente del Consiglio sembra soffrire oggi, quando, di fronte all'immane casino provocato dai suoi stessi seguaci al momento della presentazione delle liste, non sa far altro che accusare qualcun altro – i magistrati, i radicali, l'intera sinistra – di avergli impedito di fare il comodo proprio. Di più: convoca, contro questi supposti prevaricatori, una manifestazione di piazza, senza riflettere sul fatto che di solito sono le opposizioni a manifestare contro il governo e gli organi dello stato, e il caso opposto caratterizza piuttosto dei regimi, che pur avendo, talvolta, i loro meriti – come quello della Repubblica Islamica dell'Iran – non sono comunque dei modelli di democrazia rappresentativa. Democrazia rappresentativa di cui continua a considerarsi l'unico esponente accreditato anche quando ne sovverte, come nel caso, le regole e la prassi. Ed è interessante assistere allo spettacolo dell'uomo più potente del paese – tanto dal punto di vista dell'autorevolezza politica, quanto da quello della ricchezza privata e del controllo degli strumenti di comunicazione – che si lamenta di essere incessantemente l'oggetto di soperchierie e vessazioni.
    Non è l'unico, naturalmente, perché in Italia si lamentano un po' tutti e quanto più sono ricchi e potenti tanto più si dolgono di non incontrare il pronto assenso che la loro condizione comporterebbe. Non per niente, in Italia l'alto clero, dal papa in giù, è uso alzare alti lai sul triste stato in cui versa la chiesa per opera delle forze congiunte del relativismo laicista e del laicismo relativista, gli industriali non sanno far altro che gemere e chiedere sussidi, i professionisti e gli speculatori si dolgono dell'iniquità di un sistema fiscale che, poveretti, sono costretti a eludere, sicché non si capisce cosa mai dovrebbero fare i cittadini normali, che oltre a tirare la carretta devono anche sopportare questo profluvio di querimonie. Sarà l'antica tradizione mediterranea di un paese in cui non è tradizione tenersi per sé le proprie afflizioni, e in cui, d'altronde, esistono ancora i lamentatori e le lamentatrici professionali. Anche Berlusconi, in un certo senso, è un lamentatore di professione, ma ci mette tanta convinzione – tanta improntitudine, verrebbe da dire – che oramai ci si sono abituati tutti e non si trova praticamente nessuno disposto a mandarlo al paese in cui, in una nazione più seria, lo manderebbero tutti seduta stante.
    Avrete così notato che nella conferenza stampa di mercoledì scorso, quella in cui tante ne ha dette da giustificare una immediata richiesta di impeachment, se esistesse dalle nostre parti questo istituto, l'unico ad alzare la voce e a sottoporgli alcune amare verità è stato un irregolare, un giornalista – così si è dichiarato – free lance, che nessun giornale ha voluto riconoscere come proprio collaboratore, sia pure occasionale, neppure “Il manifesto”, alla cui redazione il tipo non era, a quanto sembra di capire, del tutto ignoto, ma che gli ha dedicato un articolo soprattutto per prenderne le distanze e metterlo in caricatura. Una specie di milite ignoto del giornalismo, dunque, che pure ha avuto l'onore di essere zittito, strattonato e preso per la giacchetta dal ministro della difesa in persona (cui non si è peritato, va detto, di dare del “picchiatore fascista”, che è una cosa che fa sempre piacere), che è stato minacciato e allontanato in malo modo e a cui nessuno degli accreditatissimi colleghi presenti ha sentito il bisogno di esprimere nemmeno un'ombra di solidarietà (anche se si è visto in passato come non basti disporre di un accredito e di un tesserino dell'Ordine per essere al sicuro dalle intemperanze del capo del governo). Macché: tutti d'accordo, il giorno dopo, sul fatto che le sue domande non rappresentassero altro che “una sceneggiata”, una interruzione della conferenza stampa (cerimonia cui pure ci si presta appunto per ascoltare delle domande e rispondervi) e che colui che le poneva fosse, come si dice, soltanto un “provocatore”.
    Anche se, detto tra noi, tra un capo del governo che si lamenta di essere conculcato dalla sinistra e un cittadino che, magari in tono sgarbato, chiede lumi sul bilancio della Protezione civile, ci sarebbe da chiedersi chi sia davvero quello che provoca.
14. 03.'10