Chi non ha chiamato

La caccia | Trasmessa il: 11/15/2009


    E se Berlino chiama” cantavamo, giovani e spensierati, qualche decennio fa, “ditele che si impicchi”, un invito scortese, forse, ma ben motivato: il verso successivo spiegava che “crepare per i ricchi” non ci garbava più. E non finiva lì, naturalmente: le altre strofe di quella canzonetta, che, nonostante la semplicità del testo e la facilità della melodia, vantava firme illustri – parole di Franco Fortini e musica di Fausto Amodei, mica paglia – consigliavano, ove a chiamare fosse la Nato, di dirle di ripassare e se chiamava la Patria di lasciarla chiamare pure, perché “se la Patria chiama e chiede la tua vita / rispondi che la vita per ora serve a te.” Correva l'anno 1966 ed erano, naturalmente, altri tempi: tempi in cui si poteva temere che dalla capitale tedesca divisa potesse scaturire la scintilla della guerra globale e si riteneva opportuno, nell'evenienza, mettere le mani avanti. E siccome eravamo – Fortini, dico, e Amodei e noialtri che cantavamo – piuttosto faziosi e non ci preoccupavamo un granché della coerenza e dell'equanimità, non ci saltava nemmeno in testa di pre-opporre un analogo rifiuto nel caso che a chiamare fosse, che so, la Rivoluzione. Molti, anzi, a domanda avrebbero risposto di essere disposti, in quella ipotesi, a versare il proprio sangue fino all'ultima goccia. Non saranno stati del tutto sinceri, ma erano sinceramente schierati e, come avrebbero dimostrato gli anni a venire, erano davvero pronti a commettere, per la causa, le più straordinarie sciocchezze.
    Come poi sono andate le cose, lo sappiamo. Berlino non ha chiamato, la Patria neanche e la Rivoluzione, in definitiva, nemmeno. Il Muro, che nessuno di noi, naturalmente, si sarebbe sognato di difendere, ma pensavamo quasi tutti che un po' l'Occidente se lo fosse cercato e i tedeschi comunque se lo meritavano, è venuto giù per conto suo in una notte di autunno di vent'anni fa, in un caos di indicazioni contraddittorie e tentativi disperati di scaricabarile da parte di un branco di funzionari e burocrati che, nonostante la formazione marxista leninista, la precisione tedesca e la disciplina prussiana combinate si erano accorti di non avere la minima idea di come reagire alla pressione montante e, alla fine, hanno deciso di abbandonare il campo e andassero pure le cose come dovevano andare. E cadendo quel muro ha seppellito sotto le sue rovine persino il ricordo di un'epoca in cui era così facile, dopo tutto, schierarsi.
    Oggi, nelle (poche) analisi che, fra tante commemorazioni, vengono dedicate all'evento, si tende a leggere anche quel crollo, con tutte le sue conseguenze, in termini di schieramento, sia nelle interpretazioni più semplicistiche, quelle che si limitano a inneggiare al trionfo della Libertà sull'Oppressione, sia in quelle più sofisticate, che cercano, magari con un po' di affanno, di mettere in contrapposizione dei campi di valore più elaborati. Quasi nessuno sembra essere stato sfiorato dal sospetto che quell'impressionante esodo di berlinesi a Ovest rappresentasse il primo passo della Fine degli Schieramenti. È vero che, in seguito, svariati gruppi di uomini e donne avrebbero trovato il modo di schierarsi, magari con le armi in pugno, su tutta una diverse serie di discriminanti minori, di solito etniche e/o religiose, ma il Grande Discrimine del XX secolo, comunque lo si volesse leggere o denominare, da allora è diventato inutilizzabile. La cosa non esclude che qualcuno abbia cercato ostinatamente di utilizzarlo, ma della futilità di quei tentativi erano loro i primi a rendersi conto, per cui lasciamoli pure perdere.
    Non vorrei sembrarvi oscuro. Quello che voglio dire è che proprio non riesco a credere – non l'ho creduto allora e non lo credo oggi, vent'anni dopo – che tutta quella gente che, materialmente in quei giorni, metaforicamente in seguito, si lasciava alle spalle il grigio autoritarismo dell'Est per precipitarsi verso le luci della Kürfurstendamm, stesse compiendo una scelta di campo. Che testimoniasse una scelta epocale e definitiva, come i più sostengono oggi, tra l'oppressione e la democrazia, tra la dittatura del proletariato e il liberalismo, tra l'indottrinamento ideologico e la libertà di pensiero, o magari – come auspicava l'allora pontefice – tra l'ateismo di stato e l'Europa cristiana. Se ciò fosse stato, la situazione ideologica del pianeta, dove il liberalismo, oggi, non se la passa benissimo, la libertà di pensiero ha i suoi guai e lo spirito religioso, tutto sommato, pure, sarebbe abbastanza diversa. L'obiettivo di tutti, in realtà, era quello (in sé lecito, ma non di necessità entusiasmante) dell'unificazione, ma non tanto nel senso della unificazione della Germania, che alla gente sarà interessata sì, ma fino a un certo punto, quanto dell'unificazione del proprio modo di vivere con quello dei felici inquilini del mondo globalizzato. E l'ingresso nel mercato capitalista non comportava, ovviamente, la rinuncia ad alcuna utopia socialista, perché di socialismo alle spalle quei profughi tanto entusiasti se ne lasciavano davvero ben poco.
    Oggi, il mondo senza schieramenti è anche un mondo senza utopie. Un mondo in cui nessuno ci chiama perché nessuno ha bisogno di noi, salvo che per la nostra capacità di contribuire al mercato. Un mondo, tutto sommato, più semplice, in cui di dittatori e tiranni ce ne sono ancora quanti se ne possono desiderare, ma sono state rimosse parecchie complicazioni ideologiche e un certo numero di illusioni pericolose, fino a lasciare spazio per un sistema di valori soltanto e chi non se ne accontenta può anche starsene zitto. Gli altri, oggi, festeggiano, anche se la maggior parte di loro può farlo soltanto a patto di non chiedersi cosa ci sia davvero da festeggiare.

    15.11.'09


    Nota

    Il testo completo della canzone di Fortini e Amodei, sotto il titolo di Canzone della marcia della pace si può trovare in http://www.ildeposito.org/archivio/canti/canto.php?id=206 .