Chi lo tiene

La caccia | Trasmessa il: 10/31/2004



Una volta, più spesso negli sketch e nelle barzellette che nella vita reale, ma forse anche in quella, l’iracondo, posto di fronte all’oggetto della sua rabbia, esplodeva in un grido caratteristico:  “Tenetemi!”  Poteva trattarsi della reazione di un padre severo all’ultima marachella di un figlio discolo, della conclusione di un dibattito andato un po’ sopra le righe, della risposta a un’accusa ingiusta e malevola o a una mascalzonata particolarmente odiosa, ma la mossa retorica era sempre quella.  “Tenetemi se no l’ammazzo”.  Aiutatemi – vi prego – a non fare uno sproposito.   Serviva, al tempo stesso, a sottolineare la gravità dell’offesa subita, una gravità che avrebbe giustificato la più rude delle rappresaglie, a invocare la solidarietà degli astanti e a manifestare la rinuncia a un uso, pur giustificato, della violenza.  Chi gridava “Tenetemi!”, in realtà, non aveva la minima intenzione di passare alle vie di fatto contro colui che l’aveva offeso o disgustato, ma preferiva attribuire agli altri la responsabilità relativa.  Il fatto, cari amici, che il mio onore sia stato ferito, che la mia autorità sia stata messa in discussione richiederebbe, come senz’altro saprete, la più severa delle ritorsioni, ma  tanta radicalità comporterebbe delle conseguenze che non mi sento di affrontare, per cui tocca a voi, che mi volete bene, ridurmi a più miti consigli.  Approvatemi, dunque, e tenetemi.
         La mossa sembra ripresentarsi sempre più spesso nell’argomentare del presidente Berlusconi.  Anche lui ha preso l’abitudine di giocare sullo scarto tra quello che, lasciato a se stesso, farebbe e quello che amici più o meno ben intenzionati gli lasciano fare.  E poco importa, in fondo, se usa l’argomentazione in forma speculare, nel senso che non dice, naturalmente, “Tenetemi, se no taglio le tasse!” (che sarebbe – credo – un discreto sproposito), ma preferisce spiegare che lui le tasse le taglierebbe, anzi, le avrebbe già tagliate, se non ci fossero i suoi soci di maggioranza a tenerlo.
        Sia pure in forma di deprecazione e non di invito, anche Berlusconi, come  l’iracondo della barzelletta, separa i meriti dalle responsabilità.  Lui vorrebbe tagliare le tasse, e per questa volontà va apprezzato, ma gli altri glielo impediscono, e su di loro deve dunque cadere ogni biasimo.  Politicamente, il discorso regge solo fino a un certo punto, perché è ovvio che in un governo di coalizione la responsabilità deve essere solidale tra tutte le forze coalizzate e, anzi, spetta proprio al Presidente del consiglio farsene garante e promotore, ma a queste raffinatezze dialettiche il nostro è sempre stato piuttosto allergico.  Lui sa che le promesse non costano niente, ma, se adeguatamente pompate, possono sempre rendere qualcosa e tanto gli basta.
        Il che significa che su quelle promesse noi possiamo tranquillamente fare una croce.  Anche il Presidente, a pensarci bene, non ha la minima intenzione di fare uno sproposito, lo tengano o non lo tengano.  In tema di tasse, qualcosa, magari, mostrerà anche di tagliare, come preludio alla campagna elettorale, ma persino lui sa che la pressione sui cittadini resterà la stessa, perché con i tempi che corrono tagliando di qua si deve sempre l’aumentare di là e financo la sua amatissima abolizione della quarta aliquota è destinata a restare un gioco di parole, grazie all’introduzione di un “contributo etico provvisorio” che suona certamente meglio, ma, stringi stringi, è la stessa cosa.  Come tutti quelli che invocano la responsabilità altrui, il Silvio nazionale è oculatissimo amministratore delle iniziative proprie.  Lui è uno che parla molto e fa poco, il che poi è piuttosto confortante, perché quando fa, come abbiamo visto, sono quasi sempre disastri.  Bisogna proprio tenerlo.
31.10.’04