Non credo, in tutta franchezza, che
gli storici del futuro mostreranno un grande interesse per la classe dirigente
dell’Italia berlusconiana, vista la desolante tendenza dei suoi componenti
a coniugare la mancanza di spessore politico con una certa incapacità di
suscitare una pur tenue simpatia umana. Qualcuno, al massimo, potrà
fare eccezione per Giuliano Ferrara, riconoscendone, se non altro, le straordinarie
doti di funambolo della comunicazione e maestro dell’ideologia. In
fondo, soltanto a un personaggio par suo, capace di manipolare valori e
concetti con una disinvoltura cui la maggior parte dei connazionali non
si è ancora, nonostante tutto, adeguata, poteva riuscire l’impresa di
far scendere in piazza migliaia di aderenti a entrambi gli schieramenti
politici, compresi un congruo numero di dirigenti del sindacato e dei partiti
della sinistra, in sostegno di una causa bizzarra quanto quella della difesa
dello stato di Israele contro le minacce dell’Iran.
Ho detto “bizzarra”, ma potrei usare
anche delle espressioni più forti. È vero che le parole del presidente
persiano Ahmandinejad sulla necessità di cancellare dalle carte geografiche
quella che lui chiama “l’entità sionista” erano state particolarmente
sgradevoli e che a nessuno poteva far piacere l’idea di confondersi con
chi le aveva pronunciate, ma che senso avesse impegnarsi a “difendere”
da una serie di minacce puramente verbali quella che resta la principale
potenza militare della regione non era (e non è) facilissimo da capire.
Tutti sanno che Israele, a differenza dello smandrappatissimo Iran
degli ayatollah, è dotato di uno degli eserciti più efficienti del pianeta
e dispone, per di più, di tutta la tecnologia necessaria per assemblare
un arsenale nucleare adeguato e, anzi, probabilmente l’ha già fatto. Un
simile stato, ne converrete, è perfettamente in grado di difendersi da
sé e non sarà un caso se la fiaccolata romana non ha avuto, sulla stampa
locale, moltissima eco.
Eppure a quella manifestazione sono andati
in parecchi: quindicimila persone, sembra. Di più: in molti vi hanno
rinunciato, di malavoglia, solo perché la trovavano un po’ squilibrata,
nel senso di un po’ troppo propensa a distinguere, nel grande macello
medio orientale, i buoni dai cattivi, schierandosi per i diritti di una
delle parti in causa e negando (o sottovalutando) quelli altrui. Se
gli organizzatori avessero speso un paio di parole anche per la causa palestinese,
la partecipazione sarebbe stato veramente di massa.
Un po’ unilaterale, in effetti, l’iniziativa
lo era davvero, anche se non sono sicuro che sia questo il problema principale
che ha posto. In politica, si sa, bisogna schierarsi e quello di
tener conto dei punti di vista di tutti è un tentativo lodevole, ma non
obbligatorio. Si può benissimo dissentire con chi vorrebbe ributtare
a mare gli israeliani in blocco senza sentirsi costretti ad aggiungere
meccanicamente, come in una giaculatoria, che anche ai palestinesi non
si può continuare a negare uno stato. Oltretutto, se vi interessa
un parere personale, io per la soluzione dei due stati non mi sono mai
entusiasmato e, anche se non posso più sperare di vederla realizzata nell’arco
della mia vita, resto tenacemente attaccato alla vecchia utopia di chi
crede che, un giorno, gli abitanti di quella terra disgraziata impareranno
a vivere insieme da bravi fratelli, in nome (e scusate se è poco) della
comune umanità. Perché, in definitiva, non esiste un motivo per cui,
prima o poi, quella loro terribile ostilità reciproca non possa venire
archiviata allo stesso titolo, diciamo, dell’inimicizia tra inglesi e
francesi, che si combatterono per cent’anni, della rivalità franco
tedesca, che causò due guerre mondiali, o dell’odio tra i cattolici e
i protestanti, che insanguinarono l’Europa con le loro guerre per
un paio di secoli. Se tutti costoro, oggi, vivono in pace, non si
vede perché ciò non possa succedere sulle rive del Giordano.
Certo, oggi le cose, purtroppo, non stanno
così e visto che in questo mondo tutto si tiene è giocoforza prendere una
posizione in merito. Ma bisogna stare attenti, dio santo, a quel
che si dice. Non si può sostenere, così come se nulla fosse, che
Israele è un “faro della democrazia in Medio Oriente”, come se non si
sapesse che dei vantaggi del sistema parlamentare e della pienezza dei
diritti civili, laggiù, gode solo una parte, sia pur rilevante, della popolazione.
E non si può confondere il diritto (pur sacrosanto) di quello stato
a non essere cancellato con la lotta all’antisemitismo, o la solidarietà
con il popolo ebraico, come ha fatto giovedì sera dal palco e il giorno
dopo sul suo giornale il celebre Magdi Allam. Alle argomentazioni,
chiamiamole così, di chi anche in fase organizzativa voleva considerare
nemici a priori quanti non si sarebbero presentati davanti all’ambasciata
iraniana con la loro brava fiaccola in mano ha già risposto in modo
perfettamente adeguato la Rossana Rossanda sul “Manifesto” di mercoledì,
ma la questione, complessivamente, è molto più vasta. Non bisogna
mai stancarsi di ribadire, a onta di ogni ricatto ideologico, che una cosa
e l’antisemitismo e un’altra il rifiuto della politica di Israele e che
si può benissimo praticare il secondo senza cadere nel primo, perché i
rapporti tra ebraismo e sionismo sono molto più complicati di quanto si
voglia far credere ed esiste comunque una ben precisa differenza
tra gli stati, con le loro esigenze politiche e geopolitiche, e i popoli,
le religioni, le civiltà. Confondere i due piani ha sempre comportato
guerre e massacri di ogni tipo e si continua a farlo solo perché i
potenti del mondo vi colgono una preziosa occasione per ammantare dei sacri
ideali dell’identità etnica e culturale i propri particolari interessi,
che sono, di solito, ben più concreti.
A questi inconvenienti, in realtà, si
potrebbe cercare di porre rimedio con una certa dose di spirito laico,
visto che appunto per sanare queste contraddizioni è stato inventato il
laicismo, i cui ideali (con gli obblighi che ne derivano) finiscono sempre
con coincidere con quelli della democrazia, ma non mi sembra proprio che
allignasse molto spirito laico nei quindicimila portatori di fiaccole di
giovedì sera. D’altronde, più che per difendere Israele, molti di
loro, con particolare riguardo ai dirigenti della sinistra, erano presenti
soprattutto per difendere se stessi, la propria posizione nel sistema politico,
la propria rispettabilità ideologica. Che è, figuriamoci,
un’aspirazione affatto lecita e rispettabile, ma quando si lascia che
a pontificare in merito, definendone i canoni di giudizio, sia un Giuliano
Ferrara (o chi per lui) rischia di ribaltarsi in una tipica operazione
suicida.