Una volta, quando l’universo era giovane ed eravamo tutti politicamente
molto meno corretti, si raccontavano le barzellette sui matti. Il
genere, oggi, non è più praticato né praticabile e non perché quelle storielle
avessero un contenuto particolarmente offensivo, visto che le manifestazioni
di “follia” di cui riferivano non erano gran che diverse, dopo tutto,
da quelle che caratterizzano il comportamento quotidiano di tutti noi,
ma perché il fallimento della nostra società nell’affrontare il problema
del disagio mentale è talmente clamoroso che toglierebbe la voglia di scherzare
a chiunque. Una, tuttavia, me la ricordo e permettetemi di rammentarvela.
Tratta di un signore di buona volontà in visita al classico manicomio,
che si imbatte, in cortile, in un gruppo di ospiti intenti a una strana
occupazione. Uno, a turno, pronuncia dei numeri ad alta voce – “Sette!”,
“Dodici!”, “Sessanta!” – e gli altri, ogni volta, si mettono
a ridere a crepapelle. Il tipo chiede spiegazioni a un medico di
passaggio e gli viene risposto che i degenti si stanno raccontando delle
barzellette. “Come?” ribatte stupito. “Io sento solo dei
numeri.” “Appunto” spiega l’interlocutore. “Loro hanno
un certo libro, dove tutte le barzellette in circolazione sono elencate
e numerate. Se si pronuncia il numero, ricordano la storiella relativa
e, se gli piace, ridono.” “Interessante” commenta il tipo. “Voglio
provare anch’io”. Raggiunge il gruppo, fa segno di tacere, si mette
al centro e comincia, anche lui, a dare, come si dice, i numeri. “Trentadue!”
grida. Silenzio di tomba. “Sedici!” insiste. Indifferenza
generale. “Quarantuno! Novantatre! Settanta!” e nessuno reagisce,
fosse pure con l’ombra di un sorriso. “Ma cosa succede?” sbotta
alla fine, un po’ irritato. “Eh” fa il medico, con aria saputa.
“Le barzellette bisogna saperle raccontare.”
Non fa ridere, lo so, ma non ve l’ho ricordata
per questo. Il fatto è che chiunque abbia inventato, a suo tempo,
questa storiella insulsa, aveva una capacità profetica straordinaria. Aveva
previsto, con chissà quanti anni di anticipo, l’attuale campagna elettorale
del Presidente Berlusconi. Anche in quella, come avrete notato,
i numeri abbondano. Su quei manifesti sei per tre, accanto a quello
strano ritratto di profilo a labbra serrate che lo fa somigliare a un delfino
araldico, sullo sfondo del tricolore, che male, notoriamente, non fa, il
leader di Forza Italia ne esibisce un repertorio davvero notevole. “28.622.000
italiani pagano meno tasse” ci garantisce. “Meno 17% furti nelle
case” proclama. E poi: “Meno 40% di immigrati clandestini”; “7.466
miliardi in più per la scuola”; “1.353.000 nuovi posti di lavoro regolari”
e via enumerando.
Sono, naturalmente, barzellette anche queste
ed è altrettanto improbabile che, in sé, facciano ridere. Perché,
lo sapete, si ride sempre di qualcosa. La risata presuppone l’avvenuta
ricezione di un messaggio dotato di un significato decifrabile e quelle
cifre, ovviamente, non significano nulla. Per apprezzare il valore
di una quantità X in più o in meno di un Y altro, si deve poter disporre
di ragionevoli informazioni su quell’ Y, per non dire del lasso di tempo
in cui si è realizzato l’incremento o il decremento relativo e di come
li si è calcolati. Mi compiacerò del fatto che 28.622.000 italiani
paghino meno tasse, quando avrò appurato se per avventura non gli tocca
pagare molto di più qualcos’altro. Che si registri il 40 per cento
in meno di immigrati clandestini è una notizia che potrà rallegrarmi solo
nel caso che il discorso generale sull’accoglienza e sull’integrazione
risponda a dei parametri che considero soddisfacenti e prima di applaudire
al milione e 353.000 nuovi posti di lavoro regolari voglio assolutamente
sapere cosa si intende per “regolari”. Ai numeri si può far dire
di tutto e il fatto di essere espressi per stringhe numeriche non aggiunge
nulla alla ben nota implausibilità dei messaggi elettorali.
Ma le barzellette bisogna saperle raccontare
e in questo campo, si sa, il nostro cavaliere è uomo che non ha eguali.
I suoi numeri potranno essere poco credibili, potranno sembrarci
esagerati o semplicemente irritanti (più di un concittadino, credo, si
sarà irritato al pensiero che tra quei 28.522.000 fortunati che pagano
meno tasse lui, chissà come, non c’è), ma a queste minime manchevolezze
ovvia largamente la potenza di fuoco. Tutti quei manifesti, tutti
con lo stesso profilo delfinaceo, lo stesso tricolore e la stessa impudica
esibizione di cifre non possono, alla lunga, che fare il loro effetto.
Di un uomo capace di far affiggere sui cantoni un milione ottocentoventitremila
seicentoquarantasei manifesti con la sua faccia, non dobbiamo credere –
in fondo – che non sia capace di tutto? Il medium, notoriamente,
è il messaggio e in questo caso il messaggio è forte e chiaro: è quello
di chi si considera comunque il più forte e garantisce ad amici e nemici
che chi non si affretta a sottomettersi l’avrà a che fare con lui. E
se, per confermare questo basilare principio, bisogna ricorrere a qualche
menzogna clamorosa, be’, poco male: in un mondo che di menzogne praticamente
vive, anche la capacità di essere il più bugiardo di tutti, in cifre come
a parole, ha il suo peso.
Permettetemi, in conclusione, di raccontarvi anch’io, se non proprio una
barzelletta, almeno un aneddoto. Sembra che un tempo, secoli fa,
uno di quei feroci condottieri dell’Asia Centrale, non so se Tamerlano,
Gengis Kan o chi altri, avesse chiesto al più riputato pittore dell’impero
di fargli il ritratto. L’artista, lusingato dall’incarico e fiducioso
nella ricompensa, produsse un’opera di rara somiglianza. Ma il truce
individuo, come spesso capita, era calvo, mezzo guercio da un occhio (non
si sa se a causa di una freccia nemica o per un lifting riuscito male)
e di statura assai bassa: l’immagine ritratta non gli piacque affatto
e ordinò che l’artista venisse immediatamente impalato. Fu convocato
un altro pittore che, capita la lezione, prestò al suo modello fluenti
capelli, occhi da falco e una statura da far invidia a Fassino.
Ahimè: quell’interpretazione lusingatrice faceva risaltare ancora più
pesantemente agli occhi di tutti i difetti che intendeva celare e anche
il secondo artista finì su un palo. Dopo di che, capirete, fu difficile
trovare, negli ambienti artistici del paese, qualcuno disposto ad accettare
la commissione, finché non si presentò un imbrattatele qualsiasi che, pur
deboluccio nella prospettiva e scarsamente dotato nel resto, riuscì a soddisfare
il sovrano. Lo ritrasse, appunto, di profilo, con l’elmo in testa
e a mezzo busto. Ebbene, elmo a parte, tutto questo non vi ricorda
qualcuno?
25.04.’04