Chi contraddice chi

La caccia | Trasmessa il: 03/09/2003



Non ho ancora letto il relativo romanzo, ma apprendo dalla recensione di Corrado Augias su “Repubblica” di lunedì scorso che il commissario Montalbano, l’ormai leggendario personaggio di Andrea Camilleri, è, come si dice dalle nostre parti, un po’ giù di cartolina.  Al di là delle prospettive professionali tutt’altro che esaltanti, nel senso che l’idea di dover far applicare leggi del tipo della Bossi-Fini deprimerebbe chiunque, la situazione politica generale proprio non gli va giù, tant’è vero che sta seriamente pensando di cambiare mestiere.  Per noi lettori sarebbe una catastrofe, naturalmente, ma il poveraccio ha lo stesso tutta la mia comprensione (e, suppongo, la vostra).  Se, in un paese normale, ci si dovrebbe sforzare di distinguere tra le istituzioni e chi le gestisce, l’Italia, patria per eccellenza del conflitto di interesse, proprio normale non è.  Dalle nostre parte sono decisamente in troppi a confondere il rispetto per la legge con l’ossequio per chi comanda e se un povero commissario, dopo essersi barcamenato per tutti questi anni, comincia a non poterne più di Berlusconi e dei suoi, be’, posso dire soltanto che lo capisco.
        Quello che capisco un po’ meno, a essere sinceri, è l’atteggiamento in merito del suo creatore.  Nei confronti di Berlusconi, si sa, Camilleri non ha mai nascosto una certa lodevole insofferenza, sul piano politico e/o personale.  Eppure… eppure la cosa non gli impedisce, né gli ha mai impedito, di pubblicare i suoi libri presso una casa editrice per cui l’Uomo di Arcore non è esattamente un estraneo.  In effetti, se è vero che la prima edizione dei romanzi di Montalbano esce di regola presso un editore di Palermo, è altrettanto vero che le fortunate antologie di racconti e una recente riedizione di gran lusso dell’opera omnia si fregiano inesorabilmente del marchio Mondadori e tutti sappiamo a chi appartiene quel colosso dell’editoria e chi lo dirige.  E se una casa editrice di libri non vi sembra abbastanza qualificata ideologicamente perché se ne traggano delle conclusioni sulla coerenza dei suoi autori, be’, oggi vanno molto le sinergie e mi sembra di ricordare, in effetti, che qualche titolo dello scrittore di Porto Empedocle sia stato impiegato, tempo fa, anche per la promozione di “Panorama”, una testata la cui impostazione politica dovrebbe far nascere negli antiberlusconiani doc qualche ragionevole dubbio sull’opportunità di contribuire a promuoverla.
        Certo, bisogna aggiungere che Camilleri, promozioni a parte, è in ottima compagnia.  Per restare nel campo – a me più congeniale di altri –  della narrativa di genere, di autori ideologicamente di opposizione che subiscono, per così dire, il fascino di Segrate se ne trovano davvero tanti.  Non farò dei nomi, per non correre il rischio di dimenticare nessuno, ma non si può negare che i personaggi del nuovo noir  “di sinistra” italiano, si tratti di poliziotti che hanno somatizzato fino alle ultime conseguenze il rifiuto delle gerarchie, di ex marescialli dei carabinieri dal volto umano, o di transfughi più o meno schizzati del mondo della cultura antagonista, hanno tutti una certa tendenza a militare comunque sotto le bandiere mondadoriane.  Anzi, se mettiamo nel conto anche l’Einaudi e la Frassinelli, che, alla Mondadori, in buona sostanza, appartengono, e la Tropea, che vi è strettamente legata anche sotto il profilo della distribuzione, potremmo tranquillamente concludere che l’intero genere in lingua italiana geme sotto un rigido monopolio, e che l’indipendenza ideologica dei suoi cultori, quindi, deve fare i conti con quella che una volta si chiamava la struttura economica (e se il termine vi sembra oscuro, chiamiamoli gli interessi del padrone e ci capiremo senz’altro meglio).
        Gli scrittori cui mi riferisco obietterebbero, probabilmente, che non è colpa loro se il sistema editoriale è quello che è.   Potrebbero farmi notare che, operando essi all’interno di un genere che si ascrive alla cultura di massa, devono rivolgersi di necessità a un pubblico di lettori quanto più possibile vasto, e non possono certo permettersi il lusso dell’editoria alternativa o della produzione autogestita.  Potrebbero sostenere non senza ragione che, allo stato attuale dell’arte, il sistema è abbastanza mediato e articolato da garantire a chi scrive l’immunità da troppe pressioni indebite.  E potrebbero osservare, infine, come nella stessa barca si trovino dei personaggi le cui responsabilità ideologiche sono assai più esplicite di quelle di qualsiasi scrittore di gialli o di altro.  In fondo, per i tipi del presidente onorario del Milano scrivono anche illustri dirigenti della sinistra, a partire dal leader Massimo (nel senso di D’Alema), e nessuno ha mai avuto niente da obiettare.  Perché, dunque, prendersela proprio con loro?
        Avrebbero ragione, probabilmente, anche se una cosa è il mondo della politica, che vive istituzionalmente di compromessi e di scambi, a livelli non necessariamente eccelsi, e un’altra quello delle narrativa, che è, o dovrebbe essere, un mondo di libertà, in cui l’autore non dispone di altri poteri che quelli che trae dalla sua capacità di scrivere e non può abdicare al diritto, di scrivere, comunque, tutto quello che gli pare.  Ma nessuno è tenuto all’impossibile, scrivere senza essere letti non serve a niente e se per raggiungere il pubblico dei lettori bisogna adattarsi a certi compromessi di facciata, ci si può anche rassegnare a farlo.  Spetterebbe ad altri, in fondo, agire in modo che da certi intrecci il paese, presto o tardi, si liberi.  E la contraddizione, se mai, può essere considerata reciproca, perché se un Camilleri, per tornare a lui, deve rassegnarsi a che il suo personale successo giovi anche agli affari privati del Presidente del Consiglio, anche Berlusconi deve rassegnarsi, per ora, al fatto che la sua casa editrice pubblichi dei volumi in cui la sua persona e la sua politica sono additate alla pubblica esecrazione.
        Tutto bene, dunque… se non che l’idea di leggere delle storie che parlano male di Berlusconi sapendo che, stringi stringi, le pubblica lui, un po’ di fastidio finisce comunque per darlo.  Anche perché la contraddizione sarebbe davvero reciproca se gli interessi di quel signore fossero di natura esclusivamente politica o ideale.  Ma visto che si dà abbastanza per scontato, almeno tra di noi, che la politica, dal suo punto di vista, sia subordinata alla finalità di acquisire il quattrino, non si vede bene che cosa ci sia di contraddittorio, per lui, nel mettere sul mercato dei libri che vendono bene e contribuiscono, in ogni caso, a impinguare le sue già pingui sostanze.  Sì, è vero, la contraddizione tra capitale e lavoro è ineliminabile nei sistemi capitalistici, ma se vi facciamo rientrare senza residui anche gli intellettuali, allora sì che ci troviamo nelle canne fino agli occhi.  Perché il capitale delle idee può anche fregarsene, ma noi no.

09.03.’03