Non capita spesso, di questi giorni
tristi, di trovare sui giornali una notizia capace di strappare un sorriso,
ma a volte, con un po’ di fortuna, succede. Io, per esempio, nonostante
la situazione non particolarmente brillante in cui mi trovo, mi sono rallegrato
abbastanza leggendo, sui quotidiani di una settimana fa, un trafiletto
relativo al senatore Marco Boato, dei Verdi (dico un trafiletto, ma il
“Corriere della Sera”, in realtà, ha dedicato all’episodio una breve
sequenza fotografica). Sembra che il senatore in questione, trovandosi
a condurre un dibattito sui temi della pace e della guerra in quel di Trento
– sede, se non m’inganno, del suo collegio elettorale –, sia stato affrontato
da un giovanotto dal viso coperto che gli ha disinvoltamente scagliato
una torta in faccia. Il facinoroso, che fa parte di una struttura
denominata “Laboratorio disobbediente”, intendeva esprimere la propria
disapprovazione per il fatto che il celebre parlamentare, il cui impegno
pacifista è ben noto da molte legislature, avesse recentemente votato a
favore dell’intervento delle truppe italiane in Afghanistan. La
vittima, detergendosi il viso dalla panna montata, si è limitata a commentare
che il gesto non gli sembrava particolarmente pacifico.
Aveva
ragione, poveretto, perché anche le torte vanno considerate proiettili,
se categorizzate e utilizzate come tali, e noi uomini pacifici di proiettili
non ne dovremmo lanciare a nessuno, ma, che volete, sono costretto ad ammettere
che la notizia non mi ha affatto scandalizzato. Tutt’altro. E
non solo perché ho avuto, in un passato lontano, qualche occasione di conoscere
il futuro senatore, che aveva un ruolo piuttosto su in una certa organizzazione
eversiva di cui ancor oggi mi onoro di aver fatto parte e, per dire proprio
tutta la verità, ho sempre pensato che una bella torta in faccia, di quelle
con tanta panna, fosse proprio ciò che il medico gli avesse ordinato. Il
problema è molto, molto più complesso. Lanciare una torta in faccia
a qualcuno è un gesto che s’inserisce in una tradizione nobile e antica.
In centinaia di farse, vuoi cinematografiche vuoi teatrali, il gustoso
proiettile ha concluso la sua traiettoria sui lineamenti di coloro cui
la distribuzione delle parti assegnava il ruolo del prepotente e dello
smargiasso. I bersagli designati di quel genere di aggressione sono
sempre stati, che so, il poliziotto formalista, il bottegaio insensibile,
il borghese pieno di sé, il maestro ignorante e borioso: le varie figure,
insomma, in cui la fantasia popolare riconosceva il volto, inconfondibile
nella mutevolezza dei tratti, dell’Autorità costituita e soddisfatta di
sé. Tutte figure, peraltro, contraddittorie, perché il popolo della
farse sapeva benissimo chi comandava davvero e chi faceva solo finta, chi
esercitava il potere e chi si limitava a servirlo, e in quegli esponenti
a basso livello, in quelle, diciamo così, “autorità da strada”, vedeva
dei simboli, più che delle concrete incarnazioni, di un’Autorità
la cui vera sede stava altrove, dei poveracci costretti a cercare un’apparenza
di autorevolezza nell’affettazione, spesso comica, di una dignità formale.
Quella dignità, appunto, destinata ad andare irrimediabilmente in
frantumi al primo impatto con la superficie cremosa del ghiotto proiettile,
il cui valore era, in ultima analisi, di natura eminentemente demistificatoria.
Il senatore Boato, naturalmente, non
rientra in questa casistica. Sarà, forse, un po’ soddisfatto di
sé (almeno, un tempo lo era), ma è un rappresentante del popolo democraticamente
eletto, non è un poliziotto, né un bottegaio, né un’altra figura da cattivo
da farsa, e non può certamente essere considerato prepotente, smargiasso,
ignorante o borioso. Ma ammetterete anche voi che un rappresentante
del popolo che giunge a tali insoliti patti con se stesso da votare, in
nome di un impegno pacifista, per un intervento militare, si imbarca sulla
via di quelle contraddizioni che conducono, presto o tardi, a ricevere
una vigorosa tortata tra il mento e la fronte. Che è un gesto violento,
lo so, ma abbastanza innocuo per la vittima da farci passare sopra all’imputazione:
un gesto che non fa male e, oltretutto, non umilia, perché nessuno può
sentirsi umiliato dal rientrare in una tradizione che fu propria dei Chaplin,
dei Keaton, dei Sennett, dei Keyston Kops e di tanti altri grandi artisti
popolari. L’unico rischio rappresentato da una torta in faccia
è quello del ridicolo, ma è un rischio cui certi personaggi si espongono
comunque da soli e senza bisogno che nessuno gli lanci alcunché.
E del ridicolo, naturalmente, non deve avere paura chi non ha fatto
niente per provocarlo. Come dicevamo una volta, sarà una risata che
li seppellirà.
03.02.’02