Cent'anni di cialtroneria

La caccia | Trasmessa il: 02/15/2009


    Permettetemi una chiosa. Parlando, qualche minuto fa, di tutt'altro, ho definito il Futurismo “un bluff ideologico, se mai ve ne fu uno”. È una definizione, lo ammetto, che mi ha portato oltre il campo delle mie competenze, visto che il mondo delle arti figurative mi è abbastanza estraneo e ben poco ho da dire, in generale, sulle avanguardie artistiche del '900. Sono anche pronto ad ammettere, per citare i firmatari di quel “Manifesto del Futurismo” di cui saremo chiamati, il prossimo 20 febbraio, a celebrare il centenario, che si tratta di persone tutte assai ragguardevoli: Balla, Boccioni, Severini, Carrà e Sironi sono da tempo assunti nei ranghi dei grandi pittori, Fortunato Depero fu grafico e scenografo senza eguali, Luigi Russolo ebbe, nella sperimentazione musicale, non poche intuizioni geniali e quanto a Filippo Tommaso Marinetti, che di quel Manifesto fu l'estensore materiale, va considerato, se non proprio un artista di primissimo piano, almeno l'indefesso organizzatore e propagandista del movimento, il primo a capire che anche l'arte poteva avere un suo ruolo nel nascente universo delle comunicazioni di massa. Il che, naturalmente, non è poco e merita tutte le possibili commemorazioni.
    Tuttavia... tuttavia è difficile evitare l'impressione che in quel documento (e forse nel movimento che ne è scaturito) ci fosse un pizzico, e più di un pizzico, di cialtroneria. Perché va bene cantare “l'amore del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità” e considerare “il coraggio, l'audacia e la ribellione” come elementi essenziali della poesia”. Non c'è niente di male nell'affermare che “la bellezza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova, la bellezza della velocità”, con il conseguente invito a cantare le locomotive dall'ampio petto e il volo scivolante degli areoplani. È quasi geniale, in quel contesto, l'inno “all'uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.” Sono immagini affascinanti e, per il 1909, molto profetiche. Ma dopo aver esaltato (e riprodotto su tela e su carta) la velocità dei nuovi ordigni meccanici e il dinamismo della civiltà industriale, che cosa resta da fare all'artista marinettiano? Non si capisce troppo bene. Sì, al punto 6 c'è scritto che “bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e magnificenza per aumentare l'entusiastico fervore degli elementi primordiali”, ma quella è solo una bella frase,che, a ragionarci un po' su, non significa una beatissima fava, proprio come l'affermazione al punto 8, quella per cui “noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente”. Qualche accenno di significato lo si può trovare, se mai, nel punto 7, per cui “non vi è bellezza se non nella lotta” e “nessuna opera che non abbia carattere aggressivo può essere un capolavoro”, che sarà vero, per carità, ma conferisce una sfumatura abbastanza sinistra all'elencazione del punto 3, in cui alle lodi del movimento aggressivo, dell'insonnia febbrile, del passo di corsa e del salto mortale si aggiungevano quelle dello schiaffo e del pugno. E chiarissimo, a questo punto, si fa il significato del punto 9, quel truce e sempre sottovalutato “noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo e il gesto distruttore” che nessun intellettuale degno di questo nome avrebbe potuto o dovuto permettersi cinque anni prima del colpo di pistola di Sarajevo. Perché una cosa è la volontà di “distruggere i musei, le biblioteche e le accademie di ogni specie” (punto 10) nel senso del rifiuto della tradizione, che è cosa che non ha mai fatto male a nessuno, e un'altra compiacersi del fatto che gli edifici ospitanti quelle istituzioni possano essere abbattuti a cannonate o rasi al suolo dai bombardamenti, come sarebbe abbondantemente successo nei decenni successivi. E pazienza se sotto le macerie fossero restate soltanto delle opere d'arte...
    Certo, l'ostentato amore della violenza dei futuristi era soprattutto il frutto di un atteggiamento estetico, proprio come quello del loro contemporaneo (e rivale) D'Annunzio. Nessuno di loro, probabilmente, avrebbe mai fatto del male a una mosca. Come capitava spesso, in quegli anni, ai figli più o meno colti della piccola borghesia, amavano dare scandalo, mimando ed esagerando certi atteggiamenti dell'etica aristocratica, senza rendersi conto delle implicazioni spaventevoli che quel modo di pensare avrebbe potuto avere nel nuovo contesto storico e tecnologico. Parlando della guerra sola igiene del mondo pensavano, probabilmente, più ai duelli all'arma bianca che ai massacri nelle trincee. Ma visto che compito dell'intellettuale (e dell'artista) è appunto quello di rendersi conto, be', un poco di responsabilità a quei ragazzacci – salvi quelli che, in seguito, avrebbero cambiato idea – bisognerà ben riconoscerglielo. La piccola borghesia è sempre stata, in sé, una classe piuttosto pacifica, ma anche alquanto incazzosa, pronta a delegare a qualche specialista, quando s'incazza, l'esercizio di quella violenza da cui è affascinata, ma che non ha il fegato di esercitare. Il fenomeno, storicamente, è noto con il nome di fascismo e non sarà stato un caso se con il fascismo, uscito da quell'igienico macello mondiale che il suo movimento aveva auspicato, Marinetti avrebbe largamente trescato, fino ad accettarne, lui, dichiarato distruttore di musei e accademie, la presidenza dell'Accademia d'Italia e i relativi emolumenti.
    Non so se le celebrazioni e le mostre di questi giorni, a Palazzo Reale, alle Stelline, a Roma e altrove abbiano dato o intendano dare spazio a questo tipo di discorsi, che non pretendo certo originali, ma che da qualche tempo non mi sembrano molto in auge. Visto il tipo di “eventi” che le autorità competenti sono use proporci, vi confesserò che ne dubito alquanto. E nel generale processo di rivalutazione dell'irrazionalismo novecentesco anche quella del Futurismo trova la sua logica collocazione. Le Moratti, i Berlusconi e compagnia bella hanno questo in comune con Marinetti e soci: che i pugni e gli schiaffi li vedono sempre più dal punto di vista di chi li dà che da quello di chi li prende.

    15.02.'09


    Nota

    I manifesti del Futurismo si trovano in http://www.artemotore.com/manifesti_futuristi,html .