Cenere alla cenere

La caccia | Trasmessa il: 11/08/2009


    Apprendo da un articolo di “Repubblica” di martedì scorso che “Il Po sarà come il Gange”. In questi termini, la notizia, non mi sembra esattamente da prima pagina, come pure l'han giudicata. Già adesso, tra i due corsi d'acqua possiamo ravvisare molteplici parallelismi. Sono entrambi fiumi, corrono tutti e due – per quel che può significare – da ovest a est e condividono persino un certo carattere sacro, anche se nella sacralità del Gange confidano alcune centinaia di milioni di indù, mentre quella del Po è patrimonio soltanto di quei tre o quattro leghisti fuori cotenna che prendono sul serio le esibizioni di Bossi sul Monviso. Infatti, la vera notizia è un'altra, quella che si trova nel rinvio a pagina 24: ancora poche settimane, assicura il vicesindaco di Torino Tom Alessandri, è anche nel Po si potranno spargere, come appunto nel Gange, le ceneri dei defunti. I tecnici del Comune hanno individuate due aree, una sul Po, l'altra in riva alla Dora, in cui si potrà provvedere all'operazione.
    Oh Dio, neanche questo, a pensarci, è uno scoop da premio giornalistico. La dispersione delle ceneri da cremazione è prevista da ormai otto anni (legge n. 130 del 2001) e da tempo quasi tutti i comuni italiani hanno rivisto i loro regolamenti di polizia mortuaria per consentirla, individuando i luoghi adatti alla bisogna. A Milano, per esempio, vi è adibito uno spazio a verde interno al Cimitero di Lambrate: non è un gran che, dal punto di vista estetico e paesaggistico, ma è forse più gradevole alla vista del medio assetto cimiteriale. La legge, se non mi sbaglio, permette anche di affidare al vento i resti mortali dei propri cari al di fuori dalle aree a ciò designate, in quegli spazi aperti che i superstiti possono considerare più adatti a ricordare e commemorare il defunto, per cui nulla sarà più adatto a un navigatore di lungo corso delle onde del mare e un appassionato alpinista troverà pace soprattutto sulle vette inviolate, ma disporre di un luogo già pronto sottomano è indubbiamente una comodità. Oltretutto, non sempre si può applicare la logica del luogo preferito dal caro estinto: io, per esempio, dovrei essere disperso in un bar e la cosa potrebbe presentare qualche difficoltà. Fortunati dunque i torinesi a disporre del Po e anche se la similitudine con il Gange non converrà spingerla troppo oltre, visto le evidenti difformità tra i Murazzi e i gath di Varanasi, nulla ci vieterà di utilizzarla, se non altro per riflettere sul comune destino che a tutti, in ogni parte del mondo, è serbato.
    Oggi, naturalmente, possiamo affrontare l'argomento con relativa serenità, ma fino a pochi anni quella della cremazione, seguita o non seguita dalla dispersione delle ceneri, era pratica assai controversa. La Chiesa la condannava severamente, considerandola incompatibile con il dogma della resurrezione della carne, e bastava questo per connotare ideologicamente i suoi fautori. In effetti le varie Società di cremazione, parlo per conoscenza di causa, erano accolite dichiarate di mangiapreti di formazione più o meno massonica e di anticlericali militanti, spinti a volte, più che da una vera e propria convinzione in materia, dal desiderio di irridere, anche da morti, all'alto e basso clero. Poi, qualche teologo di buon senso deve aver riflettuto sul fatto che che ben poco conto dimostrerebbe di fare dell'onnipotenza divina chi lasciasse all'Altissimo la possibilità di resuscitare soltanto coloro le cui spoglie sono accolte in un certo luogo e quel divieto è caduto. Oggi, apprendo sempre da “Repubblica”, il 10% dei funerali in Italia (e il 36% in Europa) si conclude tra le fiamme.
    Sulla dispersione in sé, tuttavia, qualche resistenza ecclesiastica sembra permanere. “Sull'argomento” leggo “è tornato domenica scorsa il cardinale di Torino: 'La dispersione delle ceneri priva ciascuno della possibilità di avere un luogo in cui pregare per i propri defunti. C'è il rischio che con la perdita di quel luogo si perda anche la memoria, il culto dei propri cari e si scivoli verso una dimensione individuale della preghiera e della fede'”. Per questo l'arcivescovo non ne è entusiasta, anche se non si spinge, a quanto ho capito, a una condanna formale.
    Argomentazioni piuttosto simili, peraltro, hanno caratterizzato due secoli fa le polemiche illuministe sulla dislocazione suburbana dei cimiteri, quelle che per noi riecheggiano soprattutto nei versi dei Sepolcri del Foscolo, e fa piacere, tutto sommato, ritrovarle su labbra vescovili. Se anche Sua Eminenza, pur insistendo, per ovvi motivi professionali, sulla preghiera e sul culto, dà spazio all'importanza della memoria, vuol dire che la maggior parte delle polemiche su cui gli uomini si arrovellano finiscono, prima o poi, per conciliarsi. E non importa che già gli antichi ci abbiano ammonito a non affidare il ricordo della nostra persona a quelli che, tutto sommato, sono soltanto dei manufatti caduchi, e di contare, invece e soprattutto, sulla memoria che i posteri avranno delle nostre opere. Certo, non tutti possiamo essere un Orazio, che considerava i propri carmi un momumentum aere perennius, “più duraturo del bronzo”. Ma tutti, nel nostro piccolo, possiamo sperare di essere ricordati soprattutto per noi e non per i bronzi e i graniti che, forse (ma non è detto), ci tributeranno e di questo, in fondo, ci accontentiamo.

    08.11.'09