È da parecchio, ormai, che non frequento
di persona i dirigenti della sinistra milanese. Sono tanto più giovani
di me e, forse per questo, non sempre mi riesce di seguire il loro modo
di ragionare (ammesso, naturalmente, che ragionino). Ma penso di
sapere lo stesso come devono essersi sentiti quando hanno letto, martedì
scorso, sul supplemento cittadino del “Corriere della sera”, il fondo
di Indro Montanelli. In una breve colonna, colui che, a dispetto degli
anni e dei precedenti, va ormai considerato se non il sommo, almeno l’unico
stratego della parte progressista del paese, gli raccomandava – in pratica
– di non perdere più tempo nella vana ricerca di un candidato al posto
di sindaco della nostra città, che tanto non se ne cava un ragno dal buco
e per di più possono capitare degli imprevisti mica da ridere come quello
di Dario Fo, e di decidersi una volta per tutte a esortare i loro seguaci
a votare Albertini. L’odierno titolare di palazzo Marino, a detta
del vecchio Indro, è perfettamente in grado di “correre per due”. In
suo nome, le “sparse membra della coalizione di Sinistra” potrebbero,
per una volta, trovare l’unità, considerando il modo con cui ”ha amministrato
in questi quattro anni il Comune di Milano, e cioè in nome e nell’interesse
non di una parte politica, ma della città e della cittadinanza” e con
il fine di lasciargli portare a compimento quelle iniziative su cui non
si può che essere “tutti consenzienti”. Gli elettori, al dire di
Montanelli, ci starebbero sicuramente. L’unico a poter “provare
qualche imbarazzo di un’elezione spontaneamente trasformata in plebiscito
potrebb’essere Albertini” stesso, il quale, peraltro potrebbe “sempre
dire che dei voti della Sinistra non aveva alcun bisogno”, mentre la Sinistra
ha assoluto “bisogno di darli a lui. È l’unico modo che le resta
non per vincere, ma per non perdere. Chissà se lo capisce”.
Mah.
Da vero signore qual è, il sindaco, in un’intervistina del giorno
dopo, ha dichiarato che trova tanta attenzione “assolutamente sproporzionata”
per quel che riguarda i suoi meriti e il lavoro svolto, ma si è guardato
bene dal rifiutare. Ha detto soltanto che deve tener conto delle
sue responsabilità istituzionali e della sua “area politica di riferimento”.
Ma i destinatari dell’invito, i dirigenti di quel che resta della
nostra sinistra – cui, se non erro, nessuno ha chiesto un commento –
come possono aver reagito, loro, a una proposta tanto bizzarra?
Secondo
me hanno reagito con un lungo sospiro di rimpianto. Se solo potessero,
su quell’idea si butterebbero a pesce. Oggi non possono, perché
ci sono in ballo le elezioni nazionali e faccende del genere, ma quanto
gli piacerebbe! Forse non condividono al cento per cento il giudizio
che Montanelli esprime sui meriti della giunta Albertini, nel senso che
neanche a loro può essere sfuggito che quella giunta, finora, non ha fatto
praticamente un tubo, salvo promuovere l’immagine del sindaco e del suo
vice, ma la cosa, ovviamente, non gli interessa, altrimenti avrebbero trovato
il modo di farlo notare. L’idea di una soluzione, come si dice oggi,
bipartisan deve toccare delle corde profonde nell’animo di chi, da anni,
si pone come solo problema quello dell’unità con i popolari, con la lista
Dini e con chiunque possa vantare una sia pur remota ascendenza democristiana.
E allora, perché non saltare il fosso direttamente?
C’è
di più. La sinistra italiana nel suo complesso è stata accusata,
talvolta, di investire troppa parte delle proprie energie nella costruzione
del nemico, di sperare di vincere non in nome di meriti propri, sulla cui
consistenza non sarebbe essa stessa convinta, ma sottolineando i demeriti
dell’avversario. È un’accusa, forse, ingenerosa. A Milano,
comunque, è assolutamente fuori luogo. A Milano sono (siamo) specializzati
in tutt’altra strategia. Noi il nemico ci sforziamo piuttosto di
annetterlo.
Pensate, appunto, ad Albertini, alle
immeritatissime lodi che a tutti sembra necessario profondere sulle sue
capacità amministrative. È evidente che alla sinistra il ragazzo,
da qualche tempo, interessa moltissimo. Non avete sentito dire anche
voi che, oltre a essere un tecnico di vaglia e un lavoratore coscienzioso,
è, in fondo, un uomo indipendente, tanto è vero che a Berlusconi sta un
po’ sulle corna, che non tollera interessi di partito, che ha fatto fuori
senza pietà quel tristanzuolo di De Caroli e che se prende una decisione
lo fa perché ne è convinto, nel senso che la sua ottica è quella del bene
comune? E credete forse che questa beatificazione strisciante sia
portata avanti tanto per fare? Guardate che è già successo qualcosa
di simile soltanto quattro anni fa. Siamo stati a un filo dall’alleanza
formale con il buon Formentini, e il progetto non è andato in porto soltanto
perché Bossi, all’ultimo momento, ha deciso che a lui una soluzione bipartisan
non interessava affatto. Come non dovrebbe interessare a chiunque
abbia una minima idea di come funziona quel sistema democratico liberale
di cui tutti sono sempre ben lesti a riempirsi la bocca, salvo negarne
nei comportamenti concreti le dinamiche di fondo, che prevedono, nel caso
di un’elezione popolare a una carica, che le differenze non siano sopite,
ma esaltate, visto che è su di esse che si gioca la partita.
Figuriamoci. Quella del decano
del giornalismo italiano, probabilmente, è solo una provocazione, ma non
ha certo lasciato indifferenti coloro che, per fermare la valanga Fo, non
hanno saputo pensare a niente di meglio che a una doppia candidatura. Un’ipotesi
che, oggi, sembra proprio non funzionare: tanto vale allora provare quella
del candidato doppio.
03.12.’00