Candidati doppi e doppie candidature

La caccia | Trasmessa il: 12/03/2000



È da parecchio, ormai, che non frequento di persona i dirigenti della sinistra milanese.  Sono tanto più giovani di me e, forse per questo, non sempre mi riesce di seguire il loro modo di ragionare (ammesso, naturalmente, che ragionino).  Ma penso di sapere lo stesso come devono essersi sentiti quando hanno letto, martedì scorso, sul supplemento cittadino del “Corriere della sera”, il fondo di Indro Montanelli. In una breve colonna, colui che, a dispetto degli anni e dei precedenti, va ormai considerato se non il sommo, almeno l’unico stratego della parte progressista del paese, gli raccomandava – in pratica – di non perdere più tempo nella vana ricerca di un candidato al posto di sindaco della nostra città, che tanto non se ne cava un ragno dal buco e per di più possono capitare degli imprevisti mica da ridere come quello di Dario Fo, e di decidersi una volta per tutte a esortare i loro seguaci a votare Albertini.  L’odierno titolare di palazzo Marino, a detta del vecchio Indro, è perfettamente in grado di “correre per due”.  In suo nome, le “sparse membra della coalizione di Sinistra” potrebbero, per una volta, trovare l’unità, considerando il modo con cui ”ha amministrato in questi quattro anni il Comune di Milano, e cioè in nome e nell’interesse non di una parte politica, ma della città e della cittadinanza” e con il fine di lasciargli portare a compimento quelle iniziative su cui non si può che essere “tutti consenzienti”.  Gli elettori, al dire di Montanelli, ci starebbero sicuramente.  L’unico a poter “provare qualche imbarazzo di un’elezione spontaneamente trasformata in plebiscito potrebb’essere Albertini” stesso, il quale, peraltro potrebbe “sempre dire che dei voti della Sinistra non aveva alcun bisogno”, mentre la Sinistra ha assoluto “bisogno di darli a lui.  È l’unico modo che le resta non per vincere, ma per non perdere.  Chissà se lo capisce”.
        Mah.  Da vero signore qual è, il sindaco, in un’intervistina del giorno dopo, ha dichiarato che trova tanta attenzione “assolutamente sproporzionata” per quel che riguarda i suoi meriti e il lavoro svolto, ma si è guardato bene dal rifiutare.  Ha detto soltanto che deve tener conto delle sue responsabilità istituzionali e della sua “area politica di riferimento”.  Ma i destinatari dell’invito, i dirigenti di quel che resta della nostra sinistra – cui, se non erro, nessuno ha chiesto un commento – come possono aver reagito, loro, a una proposta tanto bizzarra?
        Secondo me hanno reagito con un lungo sospiro di rimpianto.   Se solo potessero, su quell’idea si butterebbero a pesce.  Oggi non possono, perché ci sono in ballo le elezioni nazionali e faccende del genere, ma quanto gli piacerebbe!  Forse non condividono al cento per cento il giudizio che Montanelli esprime sui meriti della giunta Albertini, nel senso che neanche a loro può essere sfuggito che quella giunta, finora, non ha fatto praticamente un tubo, salvo promuovere l’immagine del sindaco e del suo vice, ma la cosa, ovviamente, non gli interessa, altrimenti avrebbero trovato il modo di farlo notare.  L’idea di una soluzione, come si dice oggi, bipartisan deve toccare delle corde profonde nell’animo di chi, da anni, si pone come solo problema quello dell’unità con i popolari, con la lista Dini e con chiunque possa vantare una sia pur remota ascendenza democristiana.  E allora, perché non saltare il fosso direttamente?
        C’è di più.  La sinistra italiana nel suo complesso è stata accusata, talvolta, di investire troppa parte delle proprie energie nella costruzione del nemico, di sperare di vincere non in nome di meriti propri, sulla cui consistenza non sarebbe essa stessa convinta, ma sottolineando i demeriti dell’avversario.  È un’accusa, forse, ingenerosa.  A Milano, comunque, è assolutamente fuori luogo.  A Milano sono (siamo) specializzati in tutt’altra strategia.  Noi il nemico ci sforziamo piuttosto di annetterlo.
Pensate, appunto, ad Albertini, alle immeritatissime lodi che a tutti sembra necessario profondere sulle sue capacità amministrative.  È evidente che alla sinistra il ragazzo, da qualche tempo, interessa moltissimo.  Non avete sentito dire anche voi che, oltre a essere un tecnico di vaglia e un lavoratore coscienzioso, è, in fondo, un uomo indipendente, tanto è vero che a Berlusconi sta un po’ sulle corna, che non tollera interessi di partito, che ha fatto fuori senza pietà quel tristanzuolo di De Caroli e che se prende una decisione lo fa perché ne è convinto, nel senso che la sua ottica è quella del bene comune?  E credete forse che questa beatificazione strisciante sia portata avanti tanto per fare?  Guardate che è già successo qualcosa di simile soltanto quattro anni fa.  Siamo stati a un filo dall’alleanza formale con il buon Formentini, e il progetto non è andato in porto soltanto perché Bossi, all’ultimo momento, ha deciso che a lui una soluzione bipartisan non interessava affatto.  Come non dovrebbe interessare a chiunque abbia una minima idea di come funziona quel sistema democratico liberale di cui tutti sono sempre ben lesti a riempirsi la bocca, salvo negarne nei comportamenti concreti le dinamiche di fondo, che prevedono, nel caso di un’elezione popolare a una carica, che le differenze non siano sopite, ma esaltate, visto che è su di esse che si gioca la partita.
Figuriamoci.  Quella del decano del giornalismo italiano, probabilmente, è solo una provocazione, ma non ha certo lasciato indifferenti coloro che, per fermare la valanga Fo, non hanno saputo pensare a niente di meglio che a una doppia candidatura.  Un’ipotesi che, oggi, sembra proprio non funzionare: tanto vale allora provare quella del candidato doppio.

03.12.’00