Cambio di paradigma

La caccia | Trasmessa il: 10/23/2011


    Cambio di paradigma

    Non c'è nulla di particolarmente nuovo o di particolarmente scandaloso nell'ultima conversazione di Berlusconi con il faccendiere Lavitola, com'è stata intercettata nell'ottobre 2009 dalla procura di Pescara e messa a disposizione della stampa qualche giorno fa a indagini concluse. Sì, certo, il proposito di “portare in piazza milioni di persone” per “far fuori” il Palazzo di Giustizia di Milano e assediare “Repubblica” può suonare un po' forte, ma è evidente che il capo del governo parla per metafore e pensa soltanto a una bella manifestazione imponente, come se fosse davvero in grado di organizzarne una (illudendosi, perché, in effetti, di veramente imponenti non ne ha mai organizzate). Tutto il resto, l'analisi secondo la quale “la gente non conta un cazzo … il Parlamento non conta un cazzo … Siamo nelle mani dei giudici di sinistra” che si appoggiano “alla 'Repubblica' e a tutti i giornali di sinistra, alla stampa estera” per fargli – come chiosa finemente l'interlocutore – “un culo come una casa” e poi “quando in Parlamento decidono qualcosa che alla sinistra non va interviene il Presidente della Repubblica che intanto non te la fa fare prima … e poi passa tutto alla Consulta, che hanno occupato e con undici giudici la bocciano” e intanto lui, poveretto, non può neanche andare in tribunale a pretendere giustizia quando gli danno del buffone e se si azzarda a chiedere i danni “per far capire a questi giornali che non possono andare avanti così” allora tutti “dicono che non c'è la libertà di stampa” e vanno a protestare perfino al Parlamento Europeo... tutti questi argomenti, in realtà, li ha già sfruttati un mucchio di volte, in occasioni pubbliche e private: sono, per così dire, i pilastri della sua personale retorica e gli servono per sviluppare una delle tesi cui è più affezionato, quella che lui, checché se ne dica, non dispone di un vero potere e, se il paese che governa è nelle canne fino agli occhi, di tutti può essere la responsabilità tranne che sua. Rappresentano la sua personale variante di quel “Ma che colpa abbiamo noi?” che funge da decenni da unico vero inno della nostra classe dirigente.
    Eppure, non so voi, ma io questa volta rileggendo quelle frasi stantie ne ho tratto un'impressione diversa. Non mi sono sembrati affatto argomenti retorici. Forse perché la retorica, alla fin fine, serve per convincere qualcuno di qualcosa e non c'era proprio motivo per cui Berlusconi, lì al telefono, dovesse tentare di convincere Lavitola, che si capisce subito che è uno già convinto a priori, uno che mai si azzarderebbe a concepire, non dico a formulare, un'analisi contraria ai desiderata del capo. No, Berlusconi, approfittando del fatto di avere all'altro capo della linea qualcuno che non lo avrebbe mai invitato a non dire cazzate, parlava semplicemente per sfogarsi. Il che può voler dire persino che lui a quelle cose lì ci credeva: che era veramente convinto che la causa dei suoi guai politici stesse tutta nell'alleanza tra giudici di sinistra, Quirinale e redazione della “Repubblica”, che senza questi tre impacci chissà quante cose belle e importanti avrebbe potuto realizzare e che solo ai quei fattori andava addebitato il crollo del suo indice di popolarità.
    L'ipotesi, ne converrete, è imbarazzante. Perché significherebbe, ove confermata, che l'attuale capo del governo è capace di credere, letteralmente, di tutto. Non solo che Ruby Rubacuori, per citare un esempio ormai noto, sia davvero la nipote di Mubarak, o che le seratine ad Arcore e a Villa La Certosa, quelle con le olgettine in parata e la Minetti vestita da infermiera, siano delle cene eleganti, ma anche che l'Italia, come ha spesso ripetuto, goda di una situazione economica di rara solidità e che, comunque, ai suoi problemi si possa porre rimedio con qualche sua attestazione in merito. Che il suo governo, una volta liberatosi del fastidioso Tremonti e fatta passare la legge sulle intercettazioni, possa davvero guidare il paese verso nuovi orizzonti di sviluppo e democrazia.
    Tutto questo, ovviamente, è piuttosto pericoloso. E ci costringerebbe, se confermato, a modificare radicalmente il giudizio sull'Uomo di Arcore, ad azzardare, come direbbero gli epistemologi, un vero e proprio cambio di paradigma. Finora, siamo sinceri, lo abbiamo considerati tutti, a destra e a sinistra, come un mezzo brigante non privo di qualche capacità: capace, per esempio, di creare un impero economico, di salvarlo dalla catastrofe riciclandosi a sorpresa in politica, di organizzare attorno a sé uno straordinario consenso e di occupare la scena pubblica con un'autorevolezza quale nessun esponente superstite della prima o della seconda repubblica ha mai potuto vantare. Tutti, a seconda del punto di vista, abbiamo molto sperato o molto temuto le trasformazioni epocali che la sua “discesa in campo” avrebbe potuto significare per il paese. Lo abbiamo considerato, insomma, un politico forse discutibile, a volte addirittura detestabile, ma capace comunque di imporsi con energia e intelligenza nel panorama politico nazionale.
    Mica vero. Tutti possono vedere come in questi giorni l'individuo di energia ne dimostri pochina e di intelligenza ancor meno. Il mezzo brigante tende a rivelarsi, se non proprio un mezzo cretino, come un uomo di incredibile ingenuità, un babalucco qualsiasi, incapace di liberarsi dalle sue personali illusioni e di andar oltre le proprie ossessioni inveterate. E se, semplificando un po' quel che diceva il Machiavelli, si può convenire sul fatto che la presenza al potere di un farabutto risoluto e intelligente possa essere, in certe circostanze, di una qualche utilità, è poco ma sicuro che quella di un bietolone autoilluso e pluriossessionato non può che procurare del danno.
    Ma forse non è davvero tutta colpa sua. Può essere, come si diceva una volta dei ragazzi discoli, che lo abbiano rovinato le cattive compagnie. In fondo, lo sciagurato passa buona parte del suo tempo in compagnia di adulatori e parassiti di vario tipo ed è fatale che tale frequentazione faccia il suo effetto. A lui nessuno ha mai fatto notare, come fanno i cardinali all'intronazione del Pontefice, come passa la gloria del mondo. Sì, l'espressione non gli è ignota, tanto è vero che se ne è servito per commentare la brutta fine fatta dall'amico Gheddafi, ma si può giurare che non gli è mai passata per l'anticamera del cervello l'idea che gli si possa applicare di persona. Già. Anche Gheddafi, d'altronde, ne era probabilmente convinto.

    23.10.'11