Barzellette di guerra

La caccia | Trasmessa il: 02/20/2005



Avrete presente, suppongo, quella vecchia storiella in cui un tizio va in giro facendo schioccare continuamente le dita e, richiesto del perché, risponde che lo fa per tenere lontano gli elefanti.  “Ma non ci sono elefanti qui in giro”, obietta l’interlocutore e quello, trionfante, conclude:  “Vede che funziona?”   Come barzelletta è del tutto cretina, ma forse il tipo di ragionamento che esemplifica non è ignoto al nostro dibattito pubblico.   È spesso impiegato, per esempio, dal presidente Berlusconi a proposito dell’incombere sul paese del pericolo comunista o quando, scendendo su un piano più personale, si lamenta perché l’opposizione lo tratta da mostro bavoso e pericolo pubblico.  Tutti si affrettano ad assicurarlo che mai si sognerebbero di usare simili termini e lui ribatte: “Vedete?  Mi danno anche del bugiardo.”
        Non ricordo bene con che termine gli specialisti di logica dell’argomentazione definiscano le proposizioni di questo tipo.  Deve trattarsi, a occhio, di una specie di falso sillogismo, in cui la falsità dipende da un’inversione tra conclusioni e premesse.  Ma visto che le regole della retorica non sono quelle della logica, se in certi casi, quando il meccanismo verbale è portato alle conclusioni estreme, l’effetto comico è irresistibile – come spesso succede quando è di scena il capo del governo – altre volte l’argomento riesce a sembrare plausibile.   Così, questa settimana se ne sono serviti con larghezza, sia pure in forma leggermente modificata, tutti coloro che, dal ministro Giovanardi  all’onorevole Rutelli ai fondisti del “Corriere della sera”, hanno insistito sulla necessità di non ritirare le nostre (e altrui) truppe dall’Iraq.  Perché cosa significa sostenere che la permanenza delle forze di occupazione è essenziale per salvare quel paese dal terrorismo e dalla guerra civile se non invertire le premesse con le conclusioni (o, se preferite, la causa determinante con quella finale)?   È evidente che il terrorismo e la guerra civile, in quel paese, ce li ha portati l’occupazione e che affidare agli occupanti il compito di porvi fine rappresenta una contraddizione logica irredimibile, ma questo, a chi sostiene quel punto di vista, interessa poco.  La logica con quelle tesi intrattiene lo stesso rapporto che la volontà di dominio, di sfruttamento e di controllo strategico ha con il sincero interesse per lo sviluppo della democrazia in un’area cruciale del mondo.  E se vi sembra troppo presumere una volontà di dominio nel governo italiano (e in quella parte della opposizione che, in ipotesi, preferirebbe non opporsi troppo), be’, forse avete ragione, ma l’obiettivo, in quel caso, sarà quello di una solida e durevole subordinazione alla politica degli Stati Uniti, che significa praticamente la stessa cosa, se non peggio.
        Per il fondo del “Corriere” di giovedì scorso, quei senatori del centro sinistra che hanno votato no al rifinanziamento della missione italiana sono “prigionieri del passato”: non hanno capito, cioè, che sull’Iraq l’Europa ha deciso di voltar pagina e che si può “lavorare con Bush alla stabilizzazione del Paese e dell’area”.  Nella sinistra italiana, invece, nessuno “ha intenzione di entrare in conflitto con la propria base notoriamente contraria alla guerra.”   Come dire, sotto sotto, che l’unica forma di collaborazione politica passa per l’accettazione dello status quo militare, con tutte le sue simpatiche conseguenze, e che a tal fine si può, anzi si deve, disattendere il mandato ricevuto dagli elettori.  Così ragionano – o dovrebbero ragionare – i politici dotati di un vero, sano realismo, quelli che non hanno paura né di Bertinotti né di quella insopportabile anticaglia che è il pacifismo.
        Francamente, io preferisco le barzellette sugli elefanti.

20.02.’05