Avvertimenti

La caccia | Trasmessa il: 03/20/2005



Su certe cose, tuttavia, Berlusconi una sua coerenza ce l’ha e nessuno gliela può negare.  Così, nell’ormai celebre intervento televisivo di martedì sera, oltre a spiazzare i telespettatori, la diplomazia internazionale, i suoi ministri e persino Bruno Vespa in tema di ritiro delle truppe dall’Iraq (tanto, sapeva già che il giorno dopo avrebbe ritrattato tutto), ha trovato il modo di ridire la sua sulla aggressione di cui sono state vittime, a Baghdad, Giuliana Sgrena e Nicola Calipari.  E pur ribadendo che spetterà alla commissione mista della cui istituzione si è tanto vantato fare chiarezza in materia, non ha rinunciato a fornire, per intanto. una sua verità.  “In Iraq” ci ha detto “c’è un clima di paura, di preoccupazione da parte delle truppe americane …  Sono militari molto giovani…  era una pattuglia che si è vista arrivare addosso un’auto a velocità…”  Insomma, “è partita una offensiva di avviso con proiettili traccianti e penso che una di queste raffiche sia stata sbagliata.”  Dichiarazione testuale, almeno stando a quanto riferito dal  “Manifesto” del giorno dopo.
        Ebbene, non c’era, in questa “offensiva di avviso sbagliata”, oltre ai proiettili traccianti e allo sfoggio compiaciuto del gergo tecnico militare, nulla che chiunque non avrebbe potuto prevedere in anticipo.  Era la versione riveduta e corretta del vecchio “colpo di avvertimento”, quello con cui infiniti funzionari, ai più vari livelli, hanno cercato di spiegare, negli anni, infiniti “incidenti” dello stesso genere.  È dai tempi di Scelba, per lo meno, che, quando un manifestante resta sul terreno o uno scippatore in fuga viene colpito alla nuca, qualche esponente governativo deve presentarsi a spiegare che è stato un errore, che le forze dell’ordine, pur in stato di grande tensione emotiva e pericolo personale, hanno sparato per aria, o meglio, hanno “esploso verso l’alto” dei colpi che, chissà come, invece di perdersi nel nulla hanno raggiunto il bersaglio con la consueta, micidiale precisione.  Tutti, a partire da loro, sapevano che si trattava di una spiegazione di comodo,  scontata e abbastanza ipocrita, che tribunali e commissioni avrebbero finito, magari, per confermare (l’ultimo caso che mi viene in mente è quello di piazza Limonta, a Genova, ma devono essercene stati, dopo, degli altri), ma che non sarebbe riuscita lo stesso a convincere i cittadini, che sanno benissimo che quando qualcuno viene colpito, di solito, è perché qualcun altro ha voluto colpirlo.   Ma la hanno ripetuta lo stesso, sempre con la stessa aria compunta e impassibile, perché tanto, a un certo livello, di quello che pensano davvero i cittadini ci si preoccupa solo fino a un certo punto.  
        Se il capo del governo si è piegato a questo malinconico rito, avrà avuto i suoi motivi.  Non aveva, come i suoi molti predecessori, bisogno di difendere se stesso, perché della responsabilità di quel fatto nessuno avrebbe potuto accusarlo.  È probabile che intendesse soltanto confermare la versione dei suoi amici americani: la perfetta corrispondenza delle due versioni è stata subito rilevata persino dai giornalisti amici in studio.  Ma le sue motivazioni, in fondo, non ci interessano.   È più interessante notare come, nella convinzione di poter spacciare, sempre e comunque, la verità che fa comodo a lui, l’uomo ritrovi l’unica forma di coerenza cui, oggi come oggi, gli sia dato di attingere.

20.03.’05