Non ho mai capito, francamente, perché
gli esponenti del centro destra nutrano tanto amore per l’espressione
e il concetto di “Stati Generali”. Dal loro punto di vista, a rigor
di logica, quelle due parole dovrebbero essere temute e aborrite, visto
che, come forse ricorderete, i più famosi Stati Generali della storia,
convocati dalla buonanima di Luigi XVI nel lontano 1789, pur essendo
stati indetti con funzione meramente consultiva, tanto per dare una parvenza
di legittimità alla decisione, già presa, di istituire certe nuove imposte,
si conclusero inopinatamente nel salone della pallacorda, un episodio che
ebbe, com’è noto, delle conseguenze che né il re né i suoi ministri avevano
previsto o avrebbero potuto approvare. Ma forse i nostri governanti,
il cui livello culturale è quello che è, non conoscono abbastanza la storia
e certe implicazioni non sono in grado di afferrarle. Così, da quando
il sindaco della nostra città, l’inetto Albertini, ha avuto l’idea di
convocare, nello scorso gennaio, gli Stati Generali del Comune di Milano,
con i brillanti risultati di cui tutti, in questi ultimi mesi, vi sarete
resi conto, le iniziative del genere fioccano con desolante regolarità.
E se oggi Albertini sta preparando, a quanto si mormora, gli Stati
Generali del Traffico, un’imponente assemblea destinata, suppongo, a sanzionare
con i debiti applausi quei poteri straordinari che il povero pavone ha
tanto brigato per farsi assegnare, la ministra Moratti, sul suo illustre
esempio, ha deciso di presentare l’ennesima proposta di riforma del sistema
scolastico convocando e facendo svolgere, proprio questa settimana, quegli
Stati Generali della Scuola di cui la stampa ha avuto, nei giorni scorsi,
ampia occasione di riferire.
Certo
gli Albertini, le Moratti e chi per loro giocano abbastanza sul sicuro.
E non solo perché sanno benissimo che tra le file dell’opposizione
non c’è particolare abbondanza di spirito giacobino. Il fatto è
che i loro Stati Generali non sono, in realtà, delle assemblee, delle aggregazioni
di cittadini che possano rivendicare a qualsiasi titolo una sia pur vaga
funzione rappresentativa. Sono, comìè stato notato, degli eventi
meramente mediatici, delle riunioni televisive a invito, la cui capacità
di esprimere un punto di vista sui problemi del traffico, della scuola
o di qualsivoglia altra complessità sociale è sicuramente inferiore a quella
del salotto di Paolo Limiti o dell’auditorio di Bruno Vespa. Non
a caso l’organizzazione degli “stati” della Moratti era stata affidata,
in prima battuta, alla premiata ditta di Maurizio Costanzo ed è stata curata,
dopo il sagace ritiro di costui, da un’altra struttura specializzata in
“eventi”. In un paese in cui il dibattito politico è praticamente
confinato nell’ambito dei talk show e dove il problema principale dei
leader parlamentari (quelli dell’opposizione compresi) è quello di badare
che le votazioni più significative siano sincronizzate con la diretta TV
non ci si può aspettare nient’altro. E neppure Robespierre, che
pure non era del tutto ignaro, per i suoi tempi, della funzione dei mezzi
di informazione di massa, avrebbe potuto fare un granché con un pubblico
di invitati accuratamente selezionati dal sovrano regnante. Agli
spettacoli televisivi, gli spettatori, fin dai tempi di “Lascia o Raddoppia”
sono invitati al solo scopo di fare da claque e da questa funzione possono
esimersi soltanto a proprio rischio e pericolo, come hanno potuto verificare
i non molti studenti e insegnanti che, per essersi tolto il gusto di fischiare
la ministra e il suo capo, si sono beccati una salutare dose di sganassoni.
Non
succederà più, naturalmente. Anche se la Moratti, con imprevedibile signorilità,
ha commentato che anche questo è un segno di democrazia (si riferiva, credo,
ai fischi e non agli sganassoni), Berlusconi si è mostrato molto meno equanime.
Lui nelle proteste altrui non sa vedere altro che “grida scomposte”.
E in futuro, vista la sua leggendaria capacità di badare ai particolari,
starà ben attento che la cernita degli invitati sia più severa e il servizio
di sicurezza più sollecito. Anzi, per essere ancora più sicuro,
vedrete che i prossimi “Stati Generali” non li farà né a Foligno
né al Palazzo dei Congressi, ma in un bello studio, non importa se Mediaset
o Rai, con un pubblico di comparse professionali e forse neanche in diretta.
Tanto gli italiani, abituati come sono a vedere la realtà soltanto
attraverso il tubo catodico, non si accorgeranno neanche della differenza.
23.12.’01