Asimmetrie

La caccia | Trasmessa il: 12/20/1998



In questi brutti giorni di guerra, un certo numero di personaggi di vario peso politico e pubblica rilevanza, hanno sentito il bisogno, nel criticare, ciascuno con gli argomenti suoi propri e con varie sfumature, le incursioni americane e britanniche sull’Iraq, di esprimere la propria riprovazione nei riguardi del regime iraqeno e del suo capo.  Come a dire, stringi stringi, che i bombardamenti sono una gran brutta cosa, ma che Saddam Hussein, questa volta, se l’è proprio voluta. La specificazione, specie se espressa in termini meno rozzi di quelli che vi ho riferito, ha, nella sua costruzione simmetrica, un certo tono convincente ed è stata fatta propria da Ministri degli Esteri, parlamentari, leader politici, diplomatici, giornalisti di grido e persino da un paio di commentatori e conduttori  di Radio Popolare.  Non tutti, naturalmente, hanno inteso servirsene allo scopo di giustificare Clinton e Blair, ma, insomma, un certo effetto giustificatorio, magari implicito, a questo tipo di argomentazioni è sempre connesso,  tanto è vero che se ne servono ampiamente tutti coloro che, della decisione americana e britannica si ostinano a rivendicare una non meglio precisata “legittimità”.
        Ora, non intendo certo erigermi, né in questa sede né in altre, a difensore di Saddam Hussein.  Sappiamo tutti che il suo è un regime dispotico e crudele, che accumula armamenti pericolosi e non tiene in alcun conto le delibere dell’ONU (come, peraltro, fanno gli alleati israeliani degli Stati Uniti), che opprime i curdi (proprio come gli alleati turchi degli Stati Uniti) e che non si cura più di tanto dei diritti umani (anche se, per lo meno, non ha cercato di relegare le donne nel medioevo, come hanno fatto gli alleati afgani degli Stati Uniti, e non prevede la lapidazione delle adultere e il taglio delle mani dei ladri, pratiche cari agli alleati sauditi degli Stati Uniti).  Se io disapprovo gli Stati Uniti, che a simili alleati sono soliti accompagnarsi, non posso certo approvare Saddam Hussein, che, non a caso, dagli Stati Uniti è stato, a suo tempo, vezzeggiato e protetto.
        Una cosa, però, mi sembra dovrebbe essere chiara a tutte le persone ragionevoli.  Nessuna, dico nessuna, delle colpe di Saddam Hussein può giustificare quello che sta succedendo oggi in Iraq.  Come nessuna delle sue colpe poteva giustificare, in passato, il bestiale blocco economico che ha messo il paese in ginocchio e ha causato, sicuramente, più vittime innocenti dei raid di questi giorni.  Vedete, è una cosa così ovvia che ci si vergogna, quasi, a farla notare, ma nei rapporti tra padroni e sudditi è implicita un’asimmetria che non permette alle persone ragionevoli di utilizzare argomentazioni giustificatorie fondate su una simmetria, del tipo di quella che abbiamo citato.  Le responsabilità di chi comanda sono personali, a un certo livello, ma le conseguenze le subiscono collettivamente quanti sono nella sgradevole condizione di essere comandati. È fin banale osservarlo, ma è molto improbabile che Saddam, o qualsiasi pezzo grosso del suo regime, possa trovarsi, per caso, sulla traiettoria di un missile o nel raggio di azione di un bombardiere, com’è stato improbabile che, negli anni scorsi, uno di loro abbia saltato un solo pasto a causa delle sanzioni che colpivano l’Iraq.  La guerra ha in sé questo di spaventoso e di sostanzialmente irragionevole: che non può prendere in considerazione le responsabilità personali, deve livellare tutti i membri di una comunità, volenti o nolenti, nella stessa categoria di “nemico”  (o di “bersaglio”).   In questo senso, la guerra non è mai legittima, perché non può esistere legittimità in un’azione che non tiene conto, per definizione, delle responsabilità di chi colpisce.   Anche se le incursioni fossero state autorizzate dal Consiglio di Sicurezza, o da qualche assise internazionale ancora più autorevole, sarebbero illegittimi lo stesso.   Con buona pace del nostro governo e delle forze che lo sostengono, la guerra è una cosa che va condannata in sé.
E poi, naturalmente, c’è chi al ruolo di bersaglio può sottrarsi e chi no.  Qualcuno ha ipotizzato che l’attuale operazione britannico americana abbia il preciso obiettivo di abbattere il regime iraqeno e di togliere di mezzo una volta per tutte il suo capo: sarà anche, ma, francamente, non credo che i cittadini di Baghdad e delle altre città sotto il fuoco considerino i bombardamenti come una manifestazione di solidarietà nei loro confronti o come il generoso tentativo di liberarli da un padrone crudele.  È più probabile che, com’è successo nel ’91, si sentano spinti a stringersi attorno al loro oppressore, rafforzandone e prolungandone il potere.  Anche quell’ipotesi, in realtà, è soltanto una giustificazione, una foglia di fico con cui coprire le proprie vergogne.
        D’altronde, c’è chi di simili foglie di fico ha bisogno.  Perché, una volta tolto di mezzo questo genere di giustificazioni, che cosa resta dell’azione dei nostri alleati britannici e americani?  Resta lo spettacolo delle due più grandi potenze militari del mondo che si accaniscono, con tutto il peso della tecnologia militare avanzata, su un paese praticamente inerme, che, per quanti armamenti si dica che abbia accumulato in segreto, non ha, a  prima vista, nessuna possibilità di difendersi, infierendo su un popolo di straccioni affamati, ridotti ai minimi termini da anni e anni di isolamento economico.  Del che Saddam Hussein avrà senz’altro le sue brave responsabilità, ma credete proprio che bastino a sollevare quelle di Clinton, di Blair e dei loro vari zelatori e reggicoda, quelli italiani compresi?  Chi vuole sostenerlo, è libero di accomodarsi.    Ma almeno sappia in che compagnia si va a mettere.

20.12.’98