In questi brutti giorni di guerra, un
certo numero di personaggi di vario peso politico e pubblica rilevanza,
hanno sentito il bisogno, nel criticare, ciascuno con gli argomenti suoi
propri e con varie sfumature, le incursioni americane e britanniche sull’Iraq,
di esprimere la propria riprovazione nei riguardi del regime iraqeno e
del suo capo. Come a dire, stringi stringi, che i bombardamenti sono
una gran brutta cosa, ma che Saddam Hussein, questa volta, se l’è proprio
voluta. La specificazione, specie se espressa in termini meno rozzi di
quelli che vi ho riferito, ha, nella sua costruzione simmetrica, un certo
tono convincente ed è stata fatta propria da Ministri degli Esteri, parlamentari,
leader politici, diplomatici, giornalisti di grido e persino da un paio
di commentatori e conduttori di Radio Popolare. Non tutti,
naturalmente, hanno inteso servirsene allo scopo di giustificare Clinton
e Blair, ma, insomma, un certo effetto giustificatorio, magari implicito,
a questo tipo di argomentazioni è sempre connesso, tanto è vero che
se ne servono ampiamente tutti coloro che, della decisione americana e
britannica si ostinano a rivendicare una non meglio precisata “legittimità”.
Ora,
non intendo certo erigermi, né in questa sede né in altre, a difensore
di Saddam Hussein. Sappiamo tutti che il suo è un regime dispotico
e crudele, che accumula armamenti pericolosi e non tiene in alcun conto
le delibere dell’ONU (come, peraltro, fanno gli alleati israeliani degli
Stati Uniti), che opprime i curdi (proprio come gli alleati turchi degli
Stati Uniti) e che non si cura più di tanto dei diritti umani (anche se,
per lo meno, non ha cercato di relegare le donne nel medioevo, come hanno
fatto gli alleati afgani degli Stati Uniti, e non prevede la lapidazione
delle adultere e il taglio delle mani dei ladri, pratiche cari agli alleati
sauditi degli Stati Uniti). Se io disapprovo gli Stati Uniti, che
a simili alleati sono soliti accompagnarsi, non posso certo approvare Saddam
Hussein, che, non a caso, dagli Stati Uniti è stato, a suo tempo, vezzeggiato
e protetto.
Una
cosa, però, mi sembra dovrebbe essere chiara a tutte le persone ragionevoli.
Nessuna, dico nessuna, delle colpe di Saddam Hussein può giustificare
quello che sta succedendo oggi in Iraq. Come nessuna delle sue colpe
poteva giustificare, in passato, il bestiale blocco economico che ha messo
il paese in ginocchio e ha causato, sicuramente, più vittime innocenti
dei raid di questi giorni. Vedete, è una cosa così ovvia che ci si
vergogna, quasi, a farla notare, ma nei rapporti tra padroni e sudditi
è implicita un’asimmetria che non permette alle persone ragionevoli di
utilizzare argomentazioni giustificatorie fondate su una simmetria, del
tipo di quella che abbiamo citato. Le responsabilità di chi comanda
sono personali, a un certo livello, ma le conseguenze le subiscono collettivamente
quanti sono nella sgradevole condizione di essere comandati. È fin banale
osservarlo, ma è molto improbabile che Saddam, o qualsiasi pezzo grosso
del suo regime, possa trovarsi, per caso, sulla traiettoria di un missile
o nel raggio di azione di un bombardiere, com’è stato improbabile che,
negli anni scorsi, uno di loro abbia saltato un solo pasto a causa delle
sanzioni che colpivano l’Iraq. La guerra ha in sé questo di spaventoso
e di sostanzialmente irragionevole: che non può prendere in considerazione
le responsabilità personali, deve livellare tutti i membri di una comunità,
volenti o nolenti, nella stessa categoria di “nemico” (o di “bersaglio”).
In questo senso, la guerra non è mai legittima, perché non può esistere
legittimità in un’azione che non tiene conto, per definizione, delle responsabilità
di chi colpisce. Anche se le incursioni fossero state autorizzate
dal Consiglio di Sicurezza, o da qualche assise internazionale ancora più
autorevole, sarebbero illegittimi lo stesso. Con buona pace del
nostro governo e delle forze che lo sostengono, la guerra è una cosa che
va condannata in sé.
E poi, naturalmente, c’è chi al ruolo
di bersaglio può sottrarsi e chi no. Qualcuno ha ipotizzato che l’attuale
operazione britannico americana abbia il preciso obiettivo di abbattere
il regime iraqeno e di togliere di mezzo una volta per tutte il suo capo:
sarà anche, ma, francamente, non credo che i cittadini di Baghdad e delle
altre città sotto il fuoco considerino i bombardamenti come una manifestazione
di solidarietà nei loro confronti o come il generoso tentativo di liberarli
da un padrone crudele. È più probabile che, com’è successo nel ’91,
si sentano spinti a stringersi attorno al loro oppressore, rafforzandone
e prolungandone il potere. Anche quell’ipotesi, in realtà, è soltanto
una giustificazione, una foglia di fico con cui coprire le proprie vergogne.
D’altronde,
c’è chi di simili foglie di fico ha bisogno. Perché, una volta tolto
di mezzo questo genere di giustificazioni, che cosa resta dell’azione
dei nostri alleati britannici e americani? Resta lo spettacolo delle
due più grandi potenze militari del mondo che si accaniscono, con tutto
il peso della tecnologia militare avanzata, su un paese praticamente inerme,
che, per quanti armamenti si dica che abbia accumulato in segreto, non
ha, a prima vista, nessuna possibilità di difendersi, infierendo
su un popolo di straccioni affamati, ridotti ai minimi termini da anni
e anni di isolamento economico. Del che Saddam Hussein avrà senz’altro
le sue brave responsabilità, ma credete proprio che bastino a sollevare
quelle di Clinton, di Blair e dei loro vari zelatori e reggicoda, quelli
italiani compresi? Chi vuole sostenerlo, è libero di accomodarsi.
Ma almeno sappia in che compagnia si va a mettere.
20.12.’98