Articoli da arredamento

La caccia | Trasmessa il: 02/22/2004



Ci sarà un motivo di politica editoriale, un problema di diritti di autore o qualcosa del genere, se il volume di Poesie di Eugenio Montale distribuito questa settimana ai lettori del “Corriere della Sera” (parecchie centinaia di migliaia di copie: forse la più grande tiratura di un libro di poesia contemporanea che si sia mai avuta nel paese), ci sarà un motivo, dunque, se quel libro non è composto né da un’antologia ragionata delle opere del poeta né da una o più delle raccolte che più di tutte esprimono, in una prospettiva storica, la sua personalità.  Di fatto, i lettori, molti dei quali si dovranno supporre nuovi all’esperienza della poesia del ‘900, non vi troveranno né i versi degli “Ossi di seppia”, né quelli delle “Occasioni”, come a dire che, a parte quelle due o tre composizioni che probabilmente hanno avuto già modo di incontrare sui libri di scuola, non leggeranno né la definitiva dichiarazione di poetica del “Limoni”, né quelle straordinarie liriche che sono “Dora Markus” e “La casa dei doganieri”, né, in definitiva, nessuna delle poesie che hanno fatto grande Montale.  In compenso, avranno nella loro interezza due raccolte non dirò certo minori (anche perché non sono qualificato a esprimere un tale giudizio) ma, certo, di non facile accesso.  In effetti, se La bufera e altro, del ’56, rappresenta un tentativo di superare, alla luce del vissuto degli anni di guerra, l’impostazione delle due prime raccolte, e va letta, quindi, in stretto rapporto con quelle, in Satura, che ruppe, nel ’71, un lungo periodo di silenzio, si può vedere persino una rinuncia alla poesia in senso stretto, un rifugiarsi definitivo e sofferto tra le mura sicure della letteratura, intesa come gioco verbale e riferimento erudito.  E visto che proprio Satura e La bufera sono stati offerte alla massa dei nuovi lettori, è lecito chiedersi quale immagine essi si potranno fare di quel maestro.  Giovanni Raboni, nella prefazione, cerca bravamente di giustificare la scelta, ma si capisce che il primo a non esserne convinto è lui.
        Può darsi, naturalmente, che il mio sia un tipico modo di ragionare da ex professore, di quelli che non riescono più a porsi di fronte ai testi in sé, ma li vogliono inquadrati, contestualizzati, pedantemente distinti in “maggiori” e “minori”.  Me ne scuso.  Ma può darsi, anche, che la contraddizione di cui sopra sia la spia di una scelta d’altro tipo.  Forse a chi ha proposto quel volume ai lettori – e si tratta, si capisce, di una specie di teaser, di un assaggio gratis per invogliarli a provvedersi a pagamento, nelle settimane successive, di tutta una collana di lirici del ‘900 – della loro capacità di accesso ai testi importava ben poco.  Oppure, se posso avanzare una ipotesi ancora più perfida, era convinto che ben poco sarebbe importato anche a loro.
        Mi spiego.  Nella massa di offerte promozionali che gli piovono addosso di questi tempi, in questa specie di orgia di romanzi contemporanei, classici  dell’800, saggi storici, repertori, cassette, DVD e chissà che altro in cui gli editori si sforzano di trascinarlo, è difficile supporre che l’odierno acquirente di quotidiani possa scegliere in base a un suo programma di consumi culturali.  Quando, un paio di anni fa, è cominciato il fenomeno dei libri acclusi ai quotidiani, con le proposte parallele di narrativa contemporanea di “Repubblica” e del “Corriere”, forse era ancora possibile fare una certa scelta.  Erano, quei volumi, delle riedizioni economiche, se non economicissime, di opere di successo, presentate senza particolari lenocini editoriali: libri solidi, ma maneggevoli, ben rilegati, ma non particolarmente lussuosi, testi destinati con tutta evidenza a essere letti da chi non li conosceva ancora, perché non aduso alle librerie o per altro motivo, ma poteva comunque sentirsi invogliato a conoscerli.  Col tempo, però, infuriando la concorrenza, l’offerta si è modificata.  Essendo il proposito, oltre che di strappare lettori ai rivali, quello di “fidelizzare”, come orrendamente si dice, la clientela, si è passati dai singoli titoli indipendenti alle serie.  Enciclopedie in venti, ventidue, ventiquattro tomi, corredate da atlanti e dizionari.  Storie e antologie in più volumi.  Sillogi di barbosissimi classici con prefazione erudita, opere forse di incerto appello alla lettura, ma impreziosite e rese appetibili da un’impostazione editoriale “su”, con tanto di cofanetto telato, segnalibri a nastro e altri orpelli da biblioteca.  Oggetti da collezione, in sostanza: non testi da consumare, ma volumi da allineare sugli scaffali appositi e guai se se ne perde uno, perché, come con le raccolte dei francobolli, basta una lacuna per fare crollare il valore dell’insieme.
        Ora, è caratteristica di simili prodotti quella di prescindere quasi del tutto dalla figura del lettore.  Chi mai, salvo qualche maniaco, si metterà a leggere, pagina dopo pagina, non dico un’enciclopedia, ma un’antologia, mettiamo, di poeti barocchi?  Sono libri da consultazione, che si mettono lì e lì si dimenticano, salva l’ipotesi di una riesumazione a opera di cultori di cruciverba o ragazzini costretti alle ricerche scolastiche.  È fin troppo ovvio che l’editore faccia conto, per piazzarle, tanto sul contenuto quanto sulla veste esterna, quella che ne farà – comunque – degli utili oggetti da arredamento.  Il che può spiegare, appunto, una certa indifferenza alle problematiche del rapporto con il pubblico cui l’opera è destinata, come a dire a quelle della sua stessa funzione culturale.  Un volume composto dalla “Bufera” e da “Satura” non potrà aiutare più che tanto il neofita a entrare nel mondo poetico di Montale, ma per fare pendant in biblioteca con analoghe raccolte di Neruda, Hikmet, Dylan Thomas o chi altri va, naturalmente, benissimo.
        Certo, trovare i libri in edicola è una bella comodità e scagli la prima pietra chi non vi ha mai fatto ricorso.   Ma i libri bisogna anche saperli scegliere, bisogna cercarli perché se ne sente il bisogno, considerarli elementi di un proprio personale progetto di arricchimento.   Che questo sia possibile grazie alle offerte promozionali dei quotidiani è davvero una cosa tutta da dimostrare.

22.02.’04