Amore e colesterolo

La caccia | Trasmessa il: 01/20/2008


    Ricorda Maria Grazia Accorsi in uno dei preziosi volumetti che ha dedicato ai rapporti tra letteratura e cucina come Federico Moreaux, il protagonista dell'Educazione sentimentale di Flaubert, per fare un complimento alla donna che aveva amato e assicurarle – in perfetta mala fede – di conservarla ancora nel proprio cuore, citi il giovane Werther di Goethe, “cui non venivano mai a noia le tartine di Carlotta”. Il complimento può essere, in quanto tale, più o meno azzeccato, ma pone al lettore un problema imbarazzante: il fatto che in tutto quel celebre romanzo di tartine non si faccia assolutamente cenno. Sì, quando i due protagonisti si incontrano Carlotta sta tagliando delle fette di pane per la merenda dei suoi fratellini, ma perché una fetta di pane possa considerarsi una tartina deve essere per lo meno imburrata e di burro Goethe proprio non parla. I fratelli di Carlotta ricevono ciascuno una fetta di pane nero liscio e di questa si accontentano, sia quando a distribuirla è la sorella , sia quando, per compiacere costei, il compito viene assunto dal protagonista. Nel 1774, evidentemente, questa ostentazione di frugalità non era sentita in contrasto con la temperie spirituale dello Sturm und Drang, né disturbava i lettori, che, com'è noto, tributarono all'opera un grande successo e un culto appassionato.
    Eppure, è altrettanto evidente che meno di un secolo dopo, nel 1863, in altro clima ideologico, un autore come Flaubert si sentiva a disagio di fronte a quelle costumanze spartane e manifestava, più o meno consapevolmente, il desiderio di ingentilirle, sostituendo alle fette di pane originarie delle più raffinate tartine. Se fosse tutta una idea sua o se attingesse da qualche fonte non saprei, francamente, dire, ma certo da quell'accenno escono un Werther diverso e, soprattutto, una diversa Carlotta: due figure meno romantiche, più “borghesi”, meglio pasciute. A me, che non ho mai ammirato particolarmente il romanzo di Goethe (ma forse solo perché mi è toccato di leggerlo nel testo originale al ginnasio) la cosa non dà un particolare disturbo, ma chissà come avrebbero reagito i molti spiriti appassionati che al giovane Werther e ai suoi dolori si abbeverarono e ne furono travolti al punto di seguire il protagonista nel passo finale (dell'epidemia di suicidi che seguì, in tutta Europa, la pubblicazione del romanzo parlano molte testimonianze dell'epoca).
    Che l'innovazione, comunque, non vada interamente addebitata a Flaubert, ma rispecchi una lectio diffusa nella cultura del tardo Ottocento, me lo fa sospettare un altro testo: quei versi che Ernesto Ragazzoni d'Orta imitò da una filastrocca di W. M. Thackeray, in cui si ricorda che “Il giovane Werther amava Carlotta / e già della cosa fu grande sussurro” e si aggiunge “sapete in che modo si prese la cotta? / La vide una volta spartir pane e burro”, una versione in cui il “pane e burro” rappresenta una specie di via di mezzo tra le fette di pane di Goethe e le tartine di Flaubert e testimonia, in tutta evidenza, di un costume diffuso. Anche a me, del resto, capitava, da piccolo, di ricevere per merenda delle fette di pane imburrato, nella versione sia dolce sia salata, e non me ne lamentavo certo. Il pane e il burro, in un certo modo, sono sempre stati strettamente associati: i ristoranti un po' su un tempo erano usi accompagnare certi panini morbidi con una tazzinetta di burro da spalmarvi sopra e credo che qualcuno, pur sostituendo la tazzinetta con quelle porzioni individuali avvolte nella stagnola che si trovano in commercio, lo faccia anche oggi. Ragazzoni e Thackeray, in fondo, si limitano ad approfondire la lezione di Flaubert, trascinando le figure romantiche create da Goethe in una atmosfera di più accentuato realismo. Lo facevano per ridere, certo, ma allora la gente rideva con poco.
    E oggi? Oggi che sappiamo come il burro vada consumato con estrema parsimonia, per via del molto colesterolo in esso contenuto, potremmo forse riappropriarci di Werther e Carlotta nella loro sobrietà originaria. Il rischio di sentirci spinti al suicidio, se non bastasse la morale sessuale corrente a esentarcene, andrebbe considerato comunque minore di quello rappresentato dalla sclerosi delle coronarie. In fondo Goethe, cui capitò, nella sua lunga vita, di indulgere spesso ai richiami dell'Eros, e a cui peraltro non dispiaceva la buona tavola, riuscì a evitarli entrambi.


C. O.




    Nota

    I saggi di Maria Grazia Accorsi cui si allude si intitolano, rispettivamente, Personaggi letterari a tavola e in cucina (2005) e Frittate d'autore (2007) e sono pubblicati entrambi dalla Sellerio, nella collana “La nuova diagonale”. L'accenno alle tartine di Carlotta è a pag. 16 del primo. I versi di Ernesto Ragazzoni si possono leggere nell'edizione a cura di Renato Martinoni, Buchi nella sabbia e pagine invisibili, Einaudi, 2000, a pag. 128. In quella sede il curatore cita anche l'originale del Thackeray: “Werther had a love for Charlotte / Such as words could never utter / Would you know how first he met her? / She was cutting bread and butter”.