Amnesie ricorrenti

La caccia | Trasmessa il: 05/02/2010


    Mi è piaciuta la vignetta con cui Vauro, sul “Manifesto” di martedì, commenta le ormai consuete polemiche sui fischi del 25 aprile. Vi figura un vispo vecchietto – un ex partigiano, probabilmente – che sotto la dicitura “esponenti della destra contestati per la partecipazione al 25 aprile” osserva che “se avessero partecipato a quello di 65 anni fa poteva pure andargli peggio”. Che è un modo simpaticamente ribaldo di ricordare una cosa che una quantità di gente, nell'occasione, fa finta di dimenticare, cioè che in quella data non si celebra né la fioritura dei peschi, né la comparsa della Madonna o qualche evento del genere, ma la sconfitta di un regime che aveva prodotto gravi danni al paese e e dopo una dura guerra civile si è finalmente trovato al momento della resa dei conti. Il che significa che, anche se non manca mai qualche benintenzionato disposto a dichiarare che si tratta, o dovrebbe trattarsi, di una festa per tutti gli italiani, quella del 25 aprile è una celebrazione di parte e suscita (non può non suscitare) giuste reazioni di parte. Non è la prima volta che la presenza sul palco di questo o quell'eminente figuro suscita i fischi più sacrosanti, innescando le immancabili polemiche del giorno dopo, e anche qui alla “Caccia” ci è già toccato trattarne un paio di volte. Ora, personalmente mi spiace ripetermi e me ne perdonino gli ascoltatori, ma non è colpa mia se personaggi che in apparenza sono ancora lontani dall'Alzheimer, sindaci, presidenti di provincia, governatori di regione e altri pezzi grossi, tendono a dimenticare di aver stretto fior di accordi elettorali con quelli di Storace, di Forza Nuova, di Casa Pound e peggio e poi pretendono, quasi in preda ad amnesia ricorrente, di dire la loro in una celebrazione antifascista. Non è un problema di coerenza, una valuta che sul mercato politico non ha notoriamente un gran corso, ma quello di non prendere per il culo i cittadini e, per di più, in una giornata di festa.
    In compenso è la prima volta, a quanto ricordi, che l'argomento approda alle Camere in forma d'interrogazione parlamentare. Ne spetta il merito, manco a dirlo, a due deputati del Partito Democratico, gli onorevoli Erminio Quartani ed Emanuele Fiano, che chiedono al Ministro degli Interni di sapere, “dopo quanto accaduto nel corso delle celebrazioni della Liberazione” quali provvedimenti intenda prendere “in particolare nei confronti dei massimi responsabili dell'ordine pubblico e della piazza milanese, al fine di garantire libertà di manifestazione e prevenire scontri e provocazioni da parte di frange estremistiche di ogni orientamento politico”. Che è un modo un po' ipocrita di esprimersi, ma si riduce, in sostanza, all'invito a fare un cazzatione a questori e prefetti affinché la prossima volta non permettano che gli oratori istituzionali siano fischiati (perché altro, in definitiva, non è accaduto, e ai fischi e non ad altro, di conseguenza, ci si riferisce). L'idea è piaciuta, qui a Milano, alla sindaca Moratti, che ha reso nota l'intenzione di affrontare con l'ottimo Maroni il tema “sicurezza sulle piazze”. L'anno prossimo, ha spiegato in cortese contraddittorio con il ministro La Russa, il 25 aprile lei in piazza vuol esserci, anche perché sarà anno di elezioni municipali, e vuol essere sicura che nessuno la fischi.
    Il prefetto ha risposto educatamente, ma con fermezza, che un tal genere di scrematura preventiva delle reazioni popolari non rientra nei suoi compiti. Il ministro si è tenuto più sul vago. Ma resta una strana concezione della democrazia, ne converrete, quella di chi, rivestendo una carica elettiva, invoca l'intervento della forza pubblica nelle pubbliche manifestazioni allo scopo di impedire che si manifesti il dissenso. Perché i fischi sono fischi, naturalmente, e riceverne non fa piacere a nessuno, ma di una (pacifica) manifestazione di dissenso comunque si tratta e in quanto tale fanno ben parte della dialettica democratica. Per andare in piazza ad applaudire soltanto, in fondo, non ci sarebbe stato bisogno di fare il 25 aprile. Quello vero, di sessantacinque anni fa.
02.05.'10