Almeno gli alamari

La caccia | Trasmessa il: 11/29/2009


    Avete visto come sembrava contento Berlusconi nelle foto e nei servizi TV che hanno testimoniato del suo viaggio, ai primi della settimana, nella penisola arabica? Abituati come siamo ormai da parecchio a contemplare le sembianze del Capo distorte in una smorfia cupa, in un'espressione di infastidita tetraggine, era un piacere rivederlo, per una volta, sorridere. D'altronde si capisce: sappiamo tutti come è fatto , quanto apprezzi gli elogi e gli ripugnino le critiche, non importa se costruttive, e le occasioni in cui con i primi si largheggia e dalle altre ci si astiene – quali sono, per le leggi della diplomazia, i viaggi all'estero – sono sempre state, come si dice, il campo dei suoi fagioli. Figurarsi laggiù. Lì ha potuto misurarsi, tanto in Arabia Saudita quanto nel Qatar, con una realtà politica in cui i sovrani e i loro governi possono agire in piena libertà, senza dover dare i conti, non diciamo con un'opposizione, ma nemmeno con un parlamento, in cui non ci sono né partiti né giudici, le mogli moleste vengono ripudiate senza formalità e cara grazia se non le lapidano sul posto, i potenti possono attingere all'harem di famiglia e quindi non hanno bisogno di escort o simili surrogati e, non esistendo alcuna fastidiosa distinzione tra il patrimonio del re (o dell'emiro) e il bilancio dello stato, non esistono nemmeno i presupposti del conflitto d'interesse. Insomma, una pacchia. E se anche da quelle parti sono possibili degli inconvenienti finanziari del tipo di quelli verificatisi in questi giorni nel Dubai, Silvio di queste cose non si preoccupa. “Qui c'è un dinamismo incredibile” ha confidato ai suoi fidi dopo la visita a Doha. “Costruiscono un'isola in sette anni, da noi non ne basterebbero settanta.” E si capiva che era sicuro, fra sé e sé, che se solo gli fosse concessa altrettanta libertà di movimento, lui ci riuscirebbe in sette mesi.
    A tanto, purtroppo, in Italia non si può arrivare. E non per cattiva volontà degli italiani, che, almeno in maggioranza, al loro premier sono disposti a concedere praticamente tutto. Il fatto è che il paese è stato coinvolto, sia pure di sguincio, nella storia europea degli ultimi due secoli e mezzo e questo ha prodotto un certo numero di istituzioni che, con tutta la migliore disposizione del mondo, sarebbe complicato rimuovere per restaurare la monarchia assoluta. E tutti sappiamo che di nulla di meno che del potere assoluto quel grande sarebbe disposto ad accontentarsi. A onta di tutti i possibili sforzi cui potremmo sottoporci per ampliare le sue prerogative, in questo Occidente legalistico e fiscale esse comporterebbero comunque dei limiti di cui il meschino soffrirebbe. Non sarà tutta colpa di Voltaire, come si diceva una volta, ma ci pensate a che cosa avrebbero fatto a Voltaire nel Qatar?
    Una consolazione, tuttavia, potremmo offrirgliela. Avrete notato anche voi come al palese buonumore del nostro capo del governo in Arabia contribuisse non poco la mise che ivi poteva esibire. In quasi tutte le foto e i telegiornali il suo sorriso compiaciuto era accentuato dalla possibilità di sfoggiare, sopra il tradizionale doppiopetto grigio antracite, una splendida sciarpa di raso verde bordato in oro, indossata a bandoliera e accompagnata da un cospicuo pataccone in oro e smalto, all'altezza del cuore. Gingilli del genere si scambiano i potenti del mondo quando vogliono manifestare la reciproca benevolenza, e suppongo – anche a giudicare dal colore – che sciarpa e pataccone rappresentassero gli emblemi di qualche onorificenza saudita. E gli stavano bene, eh: gli conferivano un certo tono da granduca da operetta che attirava a prima vista la simpatia.
    Fa un po' tristezza, dopo tanto splendore, rivederlo in doppiopetto e cravatta a pois. Ma da questo punto di vista, forse, qualcosa si può fare. Nella Costituzione nulla vieta, salvo errore, di istituire e prescrivere un'uniforme adeguata per il capo del governo. Una bella uniforme come si usava una volta, con una giacca a code, spalline a spazzola d'oro o d'argento, panciotto in tinta vivace con tanti alamari, pantaloni attillati con banda verticale fucsia o verde smeraldo, stivali con i tacchi debitamente rialzati e, come degno coronamento, una feluca con le frange o, meglio ancora, un chepì col pennacchio, tanto per risolvere insieme una volta per tutte il problema dell'altezza e quello di quegli imbarazzanti capelli. La spada al fianco no, perché a chi si lascia prendere da improvvisi attacchi d'ira non conviene lasciare a portata di mano degli oggetti taglienti, ma neanche Napoleone, alla cui iconografia confesso di essermi, per questa modesta proposta, vagamente ispirato, portava sempre la spada e mi auguro che l'altezza del paragone lo consoli della rinuncia. Per il resto, che largheggi pure: nastri, sciarpe, mostrine, alamari e medaglie, tante, tantissime medaglie. Sembra una sciocchezza, ma sarebbe indubbiamente un vantaggio per tutti: lui sarebbe contento e noi, nella fiducia di saperlo intento per la più parte del tempo a rimirarsi allo specchio invece di escogitare chissà quali nefandezze ai nostri danni, ancora di più.

    29.11.'09