Affari correnti

La caccia | Trasmessa il: 02/24/2008


    Ci volevano un governo dimissionario, in carica – come si dice – per il disbrigo degli affari correnti e un parlamento ormai sciolto e in stato di proroga, per prendere una delle decisioni più importanti che il nostro paese abbia preso da anni in tema di politica estera. Mi riferisco, naturalmente, al riconoscimento della indipendenza del Kosovo, in cui l'importanza non attiene tanto al peso geopolitico della neonata repubblica, che non sarà grandissimo sullo scacchiere mondiale, quanto al fatto che per la prima volta, sia pure con la complicità dell'Unione Europea e di alcuni dei suoi soci maggiori e a prezzo di un certo numero di fastidiose ipocrisie, viene contraddetto il principio, più volte affermato solennemente e sancito da un certo numero di trattati, dell'intangibilità delle frontiere uscite dalla seconda guerra mondiale. Non era un principio, in sé, particolarmente entusiasmante, visto che non si può negare che quando furono tracciate quelle frontiere si commisero varie soperchierie che la sua applicazione avrebbe reso impossibili da correggere, ma lo avevano accettato tutti ed è probabile che la cosa abbia contribuito abbastanza al mantenimento della pace in un continente in cui i punti di frizione e i focolari di crisi non sono poi pochissimi. Anche l'unica eccezione tacitamente ammessa, quella riguardante lo scioglimento di certe entità federali, come l'Unione Sovietica, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia, ha sempre previsto la stabilità dei confini ex amministrativi tra le entità coinvolte, a costo di moltiplicare all'infinito le minoranze, i contenziosi e, nello specifico jugoslavo, le nefandezze. Tra le quali si può ben annoverare la pseudo-indipendenza del nuovo stato, la cui funzione non sembra essere altra che quella di moltiplicare le tensioni etniche in una zona che ne ha già anche troppe e di ribadire il ruolo della Serbia come capro espiatorio dei Balcani e Cenerentola d'Europa.

    Che interesse abbia l'Italia in tutto ciò, non è chiaro. Ma è significativo che il nostro D'Alema, che ha iniziato da presidente del consiglio la sua carriera di statista (o presunto tale) mandando i bombardieri su Belgrado, la concluda, da ministro degli esteri, con il riconoscimento dell'entità che quei bombardamenti tanto contribuirono a far sorgere. Speriamo solo che sia una conclusione (quella della carriera di D'Alema, dico) definitiva.
    Certo, aveva le sue ragioni anche lui. Forse non disponeva, in questa fase, della pienezza dei poteri necessaria per una decisione così grave, ma, tanto, sappiamo tutti che quel gesto è stato puramente formale e che un ministro, un governo e una maggioranza di segno opposto a quelli ancora in carica non avrebbero fatto niente di diverso. La decisione vera, come sempre, è stata presa altrove e quando si tratta di fare la volontà degli Stati Uniti d'America tra i nostri politici non ci sono differenze di programma o di schieramento che tengano. Sono tutti lì, i Prodi, i D'Alema, i Berlusconi, i Fini e i Veltroni a sgomitare per chi più si mostra bravo e obbediente. Non è un atteggiamento particolarmente dignitoso, ma cosa volete che conti la dignità, a questo punto?

    Comunque, se il riconoscimento del Kosovo può essere considerato l'ultimo atto del parlamento uscente, spero che non vi sia sfuggito, che anche il penultimo, quanto a dignità, non si distingue. Si è trattato della ratifica del decreto con cui – come ci spiegava l'Accame domenica scorsa – i partiti ivi presenti si sono autoesonerati dalla fastidiosa necessità di raccogliere le firme per presentarsi alle elezioni. Lo hanno approvato all'unanimità (con l'astensione, mi sembra, del centrodestra) e con un importante emendamento che, riducendo al minimo – una unità – il numero dei parlamentari uscenti necessari alla bisogna, permette di usufruirne anche alla “Sinistra critica” del senatore Turigliatto. Qualcuno resta fuori comunque, poveraccio, ma non è colpa dei legislatori se, a suo tempo, nessuno lo ha eletto o presentato, no? Quel che conta è riaffermare il principio di cooptazione: in politica si entra se qualcuno ti fa entrare. Se no peggio per te e il popolo sovrano si gratti. Si prega di non disturbare il manovratore.

    24.02.'08